Roma, 8 febbraio 2012
La sclerosi multipla è una malattia che fa soffrire anche se nelle fasi iniziali spesso non si vede e la diagnosi talvolta resta complicata. Secondo la ricerca della Fondazione Cesare Serono e del Censis, il 48,7% dei malati si è rivolto a diversi medici prima di arrivare alla diagnosi corretta, il 40,1% ha avuto difficoltà a convincere il medico dei propri sintomi, il 29,5% ha ricevuto trattamenti per una patologia diversa. La terapia farmacologica è centrale, sebbene non siano ancora noti medicinali in grado di determinare una guarigione definitiva. Ma un ruolo comunque importante è ricoperto dalle terapie non farmacologiche. Tuttavia, con l’eccezione della fisioterapia (indicata dal 51,5% dei malati, soprattutto dai più anziani, tra i quali la percentuale sale al 70,2%) e della terapia psicologica (18%), è molto contenuto il numero di malati che possono fruirne.
La sclerosi multipla colpisce le persone adulte, quando sono nel pieno della vita attiva. Circa la metà dei malati (49,8%) riferisce che la malattia ha causato un cambiamento in negativo della loro vita lavorativa. Ma l’impatto di una malattia cronica e invalidante non si ferma alla sfera professionale, e permea inevitabilmente la vita sociale ed emotiva delle persone che ne sono colpite: interrompendo le attività del tempo libero (del tutto per il 48,3%, in parte per il 28,5%), fino ad arrivare all’isolamento sociale (elevato per il 32,6%, parziale per il 27,9%). Il 48,5% dei malati ha bisogno di aiuto nella vita quotidiana. Ma il dato oscilla dal 9,5% di chi si definisce lievemente o per nulla disabile all’83% tra i malati più gravi. Le risposte arrivano quasi solo dalle famiglie. Il 38,1% dei malati riceve assistenza informale tutti i giorni dai familiari conviventi (e la percentuale aumenta tra chi riferisce livelli di disabilità più elevati: 62,8%). L’aiuto quotidiano da parte di parenti non conviventi e amici è più raro (8,1%). Solo il 15,3% riceve aiuto da personale pubblico (e solo il 3,3% tutti i giorni). Minoritario è il supporto offerto dal volontariato (8,4%).
I servizi sanitari considerati più utili sono i centri clinici per la sclerosi multipla (52,7%), i farmaci gratuiti (31,1%) e le visite specialistiche ambulatoriali (29,4%). Numerosi sono i servizi sanitari che andrebbero rafforzati, secondo le opinioni raccolte: gli stessi centri clinici (che spesso si limitano a fornire solo la terapia farmacologica) per il 30,4% del campione, la specialistica ambulatoriale (27,1%), le visite mediche domiciliari (25,1%), i ricoveri in day hospital (22,3%). Ma sono soprattutto i servizi socio-assistenziali a richiedere un forte potenziamento dell’offerta: l’assistenza domiciliare è ritenuta uno dei servizi più utili dal 77,5% del campione e il 72,4% ne ritiene necessario il potenziamento. Seguono gli aiuti economici e gli sgravi fiscali (tra gli strumenti più utili secondo il 52,6%, da potenziare secondo il 47,7%), il supporto psicologico (utile per il 37%, da potenziare per il 25,8%).
Anche per le persone con autismo il percorso che porta alla diagnosi è spesso lungo e complesso. In circa l’80% dei casi i primi sospetti sono stati formulati dalle madri, perlopiù nel corso del secondo anno di vita del bambino (41,2%). La quota più ampia del campione di famiglie (45,9%) ha dovuto attendere tra 1 e 3 anni per ottenere la diagnosi, il 13,5% addirittura più di 3 anni. Mediamente sono 2,7 i centri e gli specialisti a cui le famiglie si sono rivolte prima della diagnosi definitiva. I disturbi indicati più frequentemente dai familiari sono quelli legati alla compromissione della comunicazione verbale e non verbale, moderata o grave nel 77,2% dei casi, con frequenza più alta tra i bambini più piccoli (82,4%). Seguono i problemi dell’apprendimento, indicati come moderati o gravi dal 73,4% del campione. Tra i disturbi più problematici da gestire c’è l’aggressività e l’autolesionismo (25,1%).
A seguire una terapia farmacologica è meno di un terzo delle persone con autismo, anche perché non esistono farmaci specifici per questa patologia. Quasi tutti i bambini con autismo ricevono qualche tipo di intervento abilitativo, ma tra gli adolescenti e gli adulti la quota di quanti non fanno nessuna terapia psicologica, pedagogica e sociale si attesta intorno al 30%. La tipologia di trattamento più efficace, anche secondo le recenti Linee guida pubblicate dall’Istituto superiore di sanità, è la terapia cognitivo-comportamentale, seguita dal 49,3% del campione. Sono in media 5,2 le ore settimanali di trattamento ricevute. Di queste, 3,2 vengono pagate privatamente dalle famiglie, con costi rilevanti a proprio carico, contro le 2,0 erogate dal soggetto pubblico. Diffuse, soprattutto tra i bambini più piccoli, logopedia (32,8%), psicomotricità (30,8%) e psicoterapia (13,9%), che costituiscono l’unico approccio terapeutico nel 20,5% dei casi.
La scuola gioca un ruolo centrale, e la quasi totalità dei bambini e ragazzi autistici la frequenta (il 93,4% fino ai 19 anni). Il numero medio settimanale di ore di sostegno ricevute da parte di un insegnante è pari a 15,9, in modo omogeneo nelle diverse zone del Paese. Ma il sostegno fornito dagli educatori inviati dal Comune (mediamente 5,3 ore settimanali), dagli assistenti alla comunicazione (2,0 ore) e da operatori di altro genere (0,9 ore) è molto più contenuto al Sud, dove le ore di sostegno ricevute complessivamente dal personale pubblico sono in media 19,1 alla settimana, contro le 24,1 della media nazionale.
La tipologia e la gravità dei sintomi che caratterizzano i disturbi dello spettro autistico comportano per le famiglie un carico assistenziale estremamente gravoso. Le ore di assistenza e sorveglianza ammontano in media a 17,1 al giorno. L’assistenza rimane nella grande maggioranza dei casi un onere esclusivo della famiglia, con un impatto rilevante non solo sulla qualità della vita, ma anche sui progetti e le scelte a lungo termine. La disabilità della persona con autismo ha avuto un impatto negativo sulla vita lavorativa del 65,9% delle famiglie coinvolte nello studio. In particolare, il 25,9% delle madri ha dovuto lasciare il lavoro e il 23,4% lo ha dovuto ridurre.
Questi sono alcuni dei principali risultati del primo anno di lavoro del progetto pluriennale «Centralità della persona e della famiglia: realtà o obiettivo da raggiungere?» promosso dalla Fondazione Cesare Serono e dal Censis, presentati oggi a Roma a Palazzo Marini da Ketty Vaccaro, responsabile del settore Welfare del Censis, Giuseppe De Rita e Carla Collicelli, Presidente e Vicedirettore del Censis, e discussi, tra gli altri, da Gianfranco Conti, Direttore generale della Fondazione Cesare Serono, Elio Guzzanti, Direttore scientifico dell’Irccs Oasi, Paola Binetti e Livia Turco, membri della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, e Renato Balduzzi, Ministro della Salute.
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