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 Anno VIII n° 2 FEBBRAIO 2012    -   MISCELLANEA


I vini nel mondo
Cile e Argentina: la scoperta dell'America

Di Luana Scanu


Il mese scorso abbiamo abbondantemente parlato dell'America (“Il vino in America: storia di una nascita travagliata” e “La California terra di vini”), del vino che vi si produce, dei rapporti con la Francia, a volte modello e alleata a volte invece nemica agguerrita, e, soprattutto, del suo ingresso tra i paesi vitivinicoli più quotati.
Non ho pero' fatto cenno al Sud America, non perché non vi sia una cultura enologica di rilievo, anzi, proprio per l'esatto contrario: parlarne en-passant sarebbe stato un grosso errore.

I primi a coltivare la vite in Sud America furono i conquistatori spagnoli, prima in Cile nel 1548 e poi in Argentina nel 1551.

Tra il 1600 e il 1700 lo sviluppo della coltivazione di viti fu rapido, tanto che la vallata di Maipo venne descritta come “ Un vasto giardino, dove si coltivano tanti tipi di cereali, verdura, frutta e una gran quantità di vigne che danno ottimi vini”.
Un'altra testimonianza importante è quella del capitano John Byron che nel 1758 naufragò con la sua nave sulle coste del Cile: “Le fattorie e le tenute sono molto pittoresche e coltivano soprattutto olivi e viti. La mia opinione è che i vini del Cile sono buoni quanto quelli di Madeira. Si producono vini in quantità così grande, che i prezzi sono molto bassi”. Due dichiarazioni che testimoniano quanto, già all'inizio, fosse importante per il Sud America questo tipo di coltura.

Dopo la liberazione dalla Spagna, si importarono talee da Bordeaux e, grazie al fatto che queste vennero importate prima che la fillossera infettasse i vitigni europei, il Cile è uno dei pochi paesi al mondo che rimase illeso dalla terribile afide. Ancora oggi le viti sono impiantate su piede franco (si chiamano così le viti che non hanno un innesto americano), grazie anche alla posizione geografica e al clima: protetta dalle Ande a est, dal deserto caldissimo e sabbioso a nord (la sabbia blocca la diffusione dell'afide), dall'Antartide a sud e dall'oceano Pacifico a ovest.

La differenza tra una vite a piede franco e una innestata è sicuramente la longevità (della prima), di conseguenza una qualità migliore e una maggiore concentrazione di profumi nelle uve.

A causa della situazione politica, il Cile per tanti anni è stato isolato dagli altri paesi. Questa situazione ha portato ad una chiusura e quindi ad una stagnazione delle tecniche di coltivazione, che rimasero quindi obsolete. La svolta si ebbe negli anni '90 quando la situazione politica cambiò e i vignaioli cileni iniziarono ad osservare il resto del mondo e, soprattutto, a farsi aiutare da enologi esperti. Per un bel po' di tempo vennero utilizzate entrambe le tecniche: fermentazione e invecchiamento, come da tradizione, in tini di legno di faggio cileno (che davano vini con una leggera ossidazione) per il mercato interno e fermentazione in tini d'acciaio con il controllo computerizzato della temperatura (che davano vini fruttati e dal sapore più “moderno”) per il mercato d'esportazione.

Alla fine, com'era normale che succedesse, i viticoltori cileni decisero di abbandonare le tecniche tradizionali e di cedere alla modernità: nel nord America e in Europa arrivano ora vini fruttati e soprattutto a buon prezzo, tanto che ormai il Cile è diventato uno dei produttori di vino più importanti del mondo.

Anche l'Argentina ha una buona tradizione enologica, grazie soprattutto ai Gesuiti che nel '500 fondarono delle missioni ai piedi delle Ande, comprendendo subito che la zona era perfetta per la viticoltura. Il problema dell'irrigazione, vista l'aridità del terreno, venne risolto con la costruzione di laghi artificiali e di canali di irrigazione: i pionieri furono così in grado di produrre vino per coprire il fabbisogno della popolazione.

Come il Cile, anche l'Argentina ha col tempo accolto nuove tecniche non solo di coltivazione, ma anche di irrigazione, che le hanno permesso di raggiungere le altre grandi nazioni produttrici di vino.

Un altro elemento in comune con il Cile è l'assenza della fillossera. Infatti anche qui i vitigni sono a piede franco, grazie alla posizione relativamente isolata in cui si trova e soprattutto grazie ai terreni sabbiosi che, come abbiamo già detto, bloccano la diffusione dell'afide. I vitigni principali coltivati in Argentina sono: Criolla, con una resa molto alta e Cereza, concentrato per lo più nelle zone calde e fertili dove si producono vini da tavola abbastanza semplici.

Malbec, che ormai è diventato un vitigno tipico della zona, Bonarda, che non è lo stesso dell'omonimo italiano, Cabernet Sauvignon, Tempranillo, Merlot e Syrah, vitigni classici che danno vini robusti e alcolici. Tra i bianchi invece possiamo annoverare: Torrontés, Chardonnay e Sauvignon Blanc.

Nel Cile invece troviamo: Cabernet Sauvignon e Merlot, sicuramente i più coltivati. Seguiti da Syrah, Zinfandel e Sangiovese. Il Carmenère, vitigno tipico di Bordeaux quasi dimenticato in Francia, nel Cile sta diventando un vitigno fondamentale. Tra i bianchi anche qui troviamo Sauvignon Blanc e Chardonnay.



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