|
|
Anno VIII n° 3 MARZO 2012 RECENSIONI |
|
Letto per voi
L'eclissi della borghesia di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo
Di Giovanni Gelmini
|
|
A noi manca la borghesia! Sono sicuro che Ferrero e Landini salterebbero sulla sedia sentendo una simile affermazione, eppure Giuseppe De Rita e Antonio Galdo ne sono convinti, ma attenti al significato che danno alla parola “borghesia”. Per loro non è una classe economica, ma una classe essenzialmente culturale. “l'ossatura di una classe dirigente, fornita di una bussola con la quale è in grado di guidare e orientare un popolo, attraverso regole con divise e un'idea di futuro... Una borghesia, dunque, che va oltre il capitalismo, esprime movimento, mobilitazione, cambiamento, spinta verso la modernità. Una borghesia che rappresenta la spina dorsale di una classe dirigente e dell’esercizio delle sue funzioni ”
Anche durante il fascismo c'è stata una borghesia “minoranza (molto ristretta e rappresentata prevalentemente dai pochi uomini formati e lanciati da Alberto Beneduce) si dedicò a due compiti fondamentali: ricostruire l'assetto del potere economico, attraverso il progressivo ingresso dell'intervento pubblico (dall'lri all'Imi, passando per una nuova legislazione bancaria); realizzare le basi di una copertura pubblica della sicurezza sociale, attraverso la creazione, per esempio, dell'lnps e dell'Onmi ” e gli autori si chiedono: “Dove è finita quella minoranza borghese del Nord, fornita di senso dello Stato e di una vocazione alla buona amministrazione che deriva dall'antica dominazione austroungarica? ”. Secondo loro oggi c'è solo uma classe media che non sente i doveri verso lo Stato e non progetta per il futuro. Gli autori attribuiscono grande importanza al dominio Austroungarico al nord, ma, personalmente, credo poco a questa influenza, infatti, l'Austria non occupò mai il Piemonte, e il Lombardo Veneto ebbe vita breve dal 1814 al 1866, invece credo più alla cultura laica e affaristica della Repubblica Veneta, che governò dall'Adda fino all'Adriatico per tre secoli e all'influenza calvinista della Svizzera. Comunque è un dato di fatto che personaggi della statura di Raffaele Mattioli, Adolfo Tino, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Alcide De Gasperi, Luigi Einaudi, Pietro Nenni e Palmiro Togliatti non si vedono più. Nel primo capitolo “Che cosa succede in un paese senza borghesia”, gli autori presentano ciò che è avvenuto in Italia: la supremazia della libertà individuale su le esigenze della collettività che ha così impedito la formazione di una “borghesia” in grado di farsi carico dei problemi della società e ha invece esaltato la classe media. Vengono così messe in evidenza le caratteristiche negative della attuale società. Nei capitoli successivi “La politica schiacciata sul presente”, “L'economia delle relazioni e delle corporazioni”, “Un popolo di separati in casa” troviamo un’analisi molto interessante dell'evoluzione della società italiana, supportata da tutte le conoscenze che Giuseppe De Rita può avere in quanto fondatore e presidente del Censis. “Un ciclo è finito. E dopo?” Questo è il capitolo conclusivo in cui gli autori cercano di trarre una visione possibile per il futuro con un’analisi delle situazioni di vantaggio e di svantaggio per l'Italia. Trovano dei segnali d’inversione di tendenza che possono far sperare, ma la loro conclusione la trovo piuttosto negativa. Scrivono:
Per uscire dalla palude e dall'immobilismo, abbiamo bisogno di ardore, di qualcosa che brucia dentro di noi.
Il libro è scritto in modo molto scorrevole e si comprende con grande facilità; l'esperienza di De Rita ci accompagna con facilità tra i cambiamenti della nostra società. È certamente una lettura utile per comprendere il momento che stiamo vivendo, oltre al passato recente, che spesso per noi resta aneddotico e non ne riusciamo a comprendere le linee evolutive e le molle che portarono all'oggi.
|
|
© Riproduzione vietata, anche parziale, di tutto il materiale pubblicato |