REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N°8


Anno VIII n° 4 APRILE 2012 FATTI & OPINIONI


Un’affermazione sconcertante, ma vera
Monti: “Io ho la fiducia degli italiani, i politici no”
I partiti non sembrano essere più in grado di attrarre il consenso né fanno nulla per cambiare. Cosa ci attende per le prossime elezioni?
Di Giovanni Gelmini


Le pressioni politiche, Napolitano compreso, hanno obbligato Monti a smorzare i toni, ma la realtà è quella. Non è che Monti sia amato dagli italiani, ma il suo consenso nasce dal fatto che ha iniziato a fare, dopo decenni del “Governo del fare” che non ha fatto un bel niente e quel poco che ha fatto lo ha realizzato in ritardo, producendo danni.

Poche le cose fatte. Varie manovre economiche con “tagli lineari”, cioè senza discernere tra “utile” e “inutile”, senza incidere nella realtà sulla dimensione della spesa pubblica, ma non solo: la riforma della Scuola e dell'Università, fatte su basi sicuramente valide, ma castrate dai tremontiani tagli che hanno trasformato quello, che doveva essere una spinta verso l'efficienza e la qualità, in un’accozzaglia di provvedimenti che rendono difficile il lavoro degli insegnati e hanno dato vigore alle scuole paritarie, con un’apparente facciata di attenzione e qualità.

Monti ha cambiato il metodo: il suo è di poche parole e fatti, che seppure discutibili, incidono sulla realtà. L'interpretazione data dai giornali alla frase detta è una minaccia ai partiti, anticipata dalla Fornero, cioè: se non vi va quello che facciamo ce ne andiamo, ma attenti a voi!

I partiti non possono accettare la sfida: sono in gravissima difficoltà. Mai come ora tutte le organizzazioni politiche in Parlamento si trovano di fronte ad una perdita di consensi e di credibilità e quelle fuori, per ora, non cambiano la situazione. I sondaggi della Ipsos per Ballarò danno gli italiani indecisi o che non votano attorno al 44%, praticamente il partito di maggioranza; un grande spazio dove un “demiurgo” può attingere; eppure i partiti sembrano disinteressarsi a ciò.

La loro azione è circoscritta a loro e al loro mondo: cercano perennemente delle alleanze tra di loro, cercano i compromessi per coprirsi dalle pressanti indagini della giustizia, si preoccupano di apparire in TV, di entusiasmare i “fedeli” (pochi a dire il vero) che seguono le loro chiacchiere in TV, radio o internet; non sembrano preoccuparsi dell'opinione del cittadino qualunque che è sempre più schifato dal loro comportamento.

Il 44% degli italiani ha molto da dire su di loro e non è abbagliato dalle inutili diatribe che sollevano (vedi articolo 18) e così Monti può governare, destreggiandosi tra i veti che, specialmente il PDL, pone. I veti possono sempre essere superati perché la paura di elezioni fa 90! Nessun partito è pronto ad affrontarle.

La Nega Nord sta vivendo un passaggio travagliato al “dopo Bossi”, con una base che vorrebbe uno Stato ed una politica pulita, trasparente, giusta, efficiente e nessun cedimento o alleanza con i luridi faccendieri. Questa è l'illusione che per venti anni Bossi ha alimentato, ma che non è stato capace di soddisfare minimamente. La base non è più in grado di “perdonare” il legame di sudditanza con Berlusconi, che non ha mai sopportato.

Il PDL vorrebbe proseguire il berlusconismo, ma Berlusconi è ancora in grado di trascinare? E chi lo può, se lui deve ritirasi dalla presenza attiva e dedicarsi alla musica con Apicella: Alfano? Cicchitto? Schifani? Dell'Utri? Dove sono gli uomini di statura? Sono tutti stati bruciati dal grande “sole” Silvio o non ci sono mai stati? E dove sono gli alleati? Quelli del passato sono ormai lontani.

Al centro le cose sono ancora meno chiare. Casini appare un leader senza seguito di popolo con la sua filosofia del doppio forno, Fini è eclissato e Rutelli sta inseguendo Lusi. Nessuno in grado di strappare almeno un 5% da quel 44% di disillusi della politica.

Anche il PD è vittima di una mancanza di attrattività per gli italiani. Nei sondaggi appare avvantaggiato in questo momento con il 27%, ma credo sia il vantaggio di poter fare opposizione. Il suo strabismo e la mancanza di idee chiare non lo aiutano a convincere i “refrattari” del 44%. Dove sono gli uomini di governo? Fassino si è ritirato a Torino, Franceschini è in penombra, Bersani potrà essere un buon ministro, ma non è un “Capo”: proviamo a confrontarlo con Monti e non c'è bisogno di parole per capire che non va.

Forse l'unico personaggio in grado di ottenere un elevato consenso è il non “presente” in Parlamento Vendola, ma la sua posizione di legame con l'estrema sinistra, con le sue “battaglie”, con le sue ideologie estreme e le sue parole ideologiche, gli taglia la possibilità di ottenere il consenso di quegli italiani moderati che vogliono pochi cambiamenti, solo quelli necessari, poche parole e più fatti. Non si governa facendo battaglie e contrapponendosi alla maggioranza della gente, ma mediando e convincendo.

Al di là delle particolarità c'è una vera sfiducia per tutta la classe politica. L'italiano medio credo che ritenga che tutti gli apparati politici siano un modo per imbrogliarci, spennarci, arricchirsi e fare gli affari propri. Le indagini della giustizia danno supporto a questa idea e il comportamento della politica non la smentisce: riforme della giustizia studiate per evitare la galera, accordi per leggi elettorali indecenti e l'incapacità di dare un taglio forte e deciso al costo della politica, sia diretta, attraverso i vari compensi, sia indiretta attraverso le poltrone e la corruzione, rendono inaffidabili tutti.

Ecco che Monti su questa melma può navigare tranquillo, agire velocemente ricordando l’antica affermazione “cosa fatta capo ha”: se ne discuterà, ma dopo poco tempo tutto torna calmo. Lui non credo proprio che abbia intenzione di proseguire dopo la fine della legislatura e nessuno quindi potrà rinfacciagli le cose fatte sgradite, ma non è detto che alla fine proprio da questa compagine esca “l'uomo nuovo” che possa raccogliere un consenso ampio, come ai tempi della DC nella Prima Repubblica e aprire il tempo della la Terza Repubblica.

© Riproduzione vietata, anche parziale, di tutto il materiale pubblicato