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Letto per voi

Elogio del moralismo di Stefano Rodotà


Di Giovanni Gelmini

Sono un vecchio, incallito, mai pentito moralista. La parola mi piace, perché richiama non una moralità passiva, compiaciuta, contemplativa e consolatoria, ma un’attitudine critica da non abbandonare, una tensione continua verso la realtà, il rifiuto di uno storicismo da quattro soldi che, riducendo a formula abusiva l'hegeliano «tutto ciò che è reale è razionale», spalma di acquiescenza qualsiasi comportamento pubblico e privato.
Rodotà così si presenta, per chi già non lo conoscesse, nella “Piccola premessa personale” che precede il testo vero e proprio e, se consideriamo l'ottica in cui si definisce moralista, cioè con comportamenti etici nella pratica politica come prescrive l'articolo 54 della Costituzione, la definizione descrive pienamente l'autore.

In questo saggio, nato dalla fusione di scritti realizzati dal 1991 in poi, ripercorre l'evoluzione parallela della struttura dei partiti e della corruzione.
Sappiamo che la corruzione è sempre esistita, ma dagli anni ottanta ha cambiato modo di essere e scrive su questo cambiamento: “In questi anni, infatti, il degrado politico e civile è aumentato, ha conosciuto accelerazioni impressionanti, si è dilatato ben al di là delle frontiere segnate al tempo di Tangentopoli. Sono cresciuti il livello della corruzione e l'accettazione dei comportamenti devianti, con un mutamento profondo del contesto”.

Se nel 1992 Mani pulite mette sotto gli occhi di tutti l'esistenza di una corruzione organizzata e sistematica (il famoso 5%), i segni erano già evidenti da almeno un decennio. Rodotà ci mostra come i partiti avevano fatto di tutto per evitare l'intervento della giustizia, ma due fatti hanno cambiato le carte in tavola. Fino a che le procedure d'indagine erano sotto la giurisdizione “porto delle nebbie, cioè della Procura di Roma, le cose potevano essere controllate, ma la Procura di Milano non era la stessa cosa. Inoltre ci fu l'abolizione dell'immunità parlamentare, ben descritta in un articolo di Giovanni Maria Bellu del 29 ottobre 1993 su “La Repubblica”:
    E' finita per davvero: l' immunità parlamentare non esiste più. Ieri il Senato ha approvato la riforma dell'articolo della Costituzione, il 68, che la disciplinava. D' ora innanzi i giudici, per poter indagare su un deputato o un senatore, non dovranno più chiedere il "permesso" al Parlamento. La locuzione '"autorizzazione a procedere" - che nella storia della Repubblica è stata spesso sinonimo di "impunità" - scompare dal vocabolario politico e istituzionale. Resta "l' autorizzazione all' arresto" (esclusi i casi di flagranza) e restano pure - tra molte critiche - l' autorizzazione alle perquisizioni domiciliari e alle intercettazioni.

L'evoluzione descritta nel saggio, accompagnata da chiare osservazioni, ci porta a capire a fondo tutte le modifiche fatte e non riuscite, che gli uomini politici hanno messo in atto, non per fermare la corruzione, ma per fermare la giustizia, cosa che, grazie all’attuale Costituzione, non sono mai riusciti a mettere in atto veramente. E la giustizia continua, seppure con difficoltà, il suo compito di punire i colpevoli.

Rodotà però non si limita a descrivere quanto è avvenuto, ma indica anche alcune vie per far fronte alla dilagante e, sembra inarrestabile, corruzione della politica:
    Da anni conviviamo con vizi privati senza pubbliche virtù, ma questa lunga convivenza non è stata contrastata con tutta la determinazione necessaria... perché le convenienze premono e pertanto diventa comodo liberarsi d'ogni imperativo con l'argomento «non si può cedere al moralismo», … con l'altro, già ricordato, «non è questione penalmente rilevante»... È pericoloso, ad esempio, costituire i magistrati come «custodi della virtù», quando si fatica sempre di più a ritrovare in casa propria una vera, convinta professione di virtù, non affidata ad un ambiguo cielo di valori, ma calata nella faticosa prassi d'ogni giorno.

Siamo noi che dobbiamo ribellarci alla corruzione ed è vero che, chi più e chi meno, tutti ne siamo partecipi o conniventi. Invece dobbiamo diventare “moralisti”, non nel senso di “bacchettoni” di facciata, ma di avere una forte etica nell'agire e nell'intrattenere rapporti: avere una cultura che non lascia spazio alla corruzione. Quando la piazza si è mossa in modo molto civile, ma chiaro e deciso, come è avvenuto nel 2011, la politica non ha potuto fare a meno di tenerne conto.

Un libro che prosegue la serie di testi che indichiamo utili per comprendere cosa sia la classe politica che ci governa. Un libro che si legge con grande facilità, che consiglio a tutti, anche per una meditazione sullo Stato della nostra politica. Dovrebbe essere messo come lettura nella scuole.

Elogio del moralismo
Stefano Rodotà
Data uscita 17/11/2011
Pagine 93
Prezzo di copertina € 9,00 (Disponibile anche in a € 5,90)
Editore: Laterza
Collana: i Robinson / Letture
ISBN: 9788842098898

Contro malaffare e illegalità servono regole severe e istituzioni decise ad applicarle. Ma serve soprattutto una diffusa e costante intransigenza morale, un'azione convinta di cittadini che non abbiano il timore d'essere definiti moralisti, che ricordino in ogni momento che la vita pubblica esige rigore e correttezza.


Argomenti:   #corruzione ,        #etica ,        #partiti ,        #politica ,        #recensione ,        #rodotà ,        #saggio



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