La “depressione”: un male che è sempre più diffuso, ma che resta sconosciuto e il pianto incontrollabile è la sua espressione comune. Veronica Pivetti racconta le sue vicissitudini, non solo con la depressione, ma direi con una classe medica troppo spesso presupponente e incapace di affrontare il problema del malato.
Mi sembra opportuno dire immediatamente che il libro non è una lagnanza, non vi sono pagine lacrimose in cui viene spontaneo dire “poveretta”: anche i momenti più drammatici sono descritti con ironia e strappano un sorriso, se non una vera e propria risata. Questo è un gran merito perché in questo modo la Pivetti istruisce divertendo.
Al centro del racconto c'è la depressione, appunto un male “oscuro”: “Il problema vero della depressione è che non la puoi raccontare, non la puoi descrivere. È invisibile.
La depressione non è solo tristezza. È fine. Ma come la racconti la fine?
E poi la depressione, come la legge, non è uguale per tutti.
…
Una delle caratteristiche più odiose della depressione è il distacco profondo che provi nei confronti del mondo esterno. E il mondo esterno è fatto di strade, di cieli, di persone, di negozi, di semafori, di viaggi.”
Molti non credono alla depressione e sono come l'orso Grug:“lo non l'ho mai visto, quindi non esiste” diceva l'orso Grug troncando il discorso.
Era il suo modo di chiuderla lì, di tappare la bocca ai figli e di zittire mamma orsa.
La Pivetti incontra, nel suo percorso verso la guarigione, due “orsi”: “Grug Cordoni e Grug Tognetti”, i primi due endocrinologi che l'hanno avuta in cura e che “erano stati abbastanza esemplari nel farmi sentire una matta che straparlava”.
Ecco uno dei primi punti che si colgono in questo libro: chi sta vicino a un depresso non sa come trattarlo; lo considera matto o, aggiungo io, un lazzarone che schiva le incombenze della vita; invece è un ammalato e tale va considerato. La Pivetti dice “Perché sì, quello di cui ha bisogno un depresso, prima di tutto, è comprensione. Ovviamente un ottimo psichiatra e alcuni ettogrammi di pillole fanno la parte del leone, ma la comprensione è quella sorta di sedia a rotelle che, lenta ma inesorabile, scricchiolando, accompagna il depresso fuori dal tunnel. ”
Come si fa a comprendere se non si conosce?
Ma andiamo per ordine. Il primo problema, incontrato dalla Pivetti, è stato il malfunzionamento della tiroide, che poi, con cure sbagliate, ha innescato la depressione. Non tutte le depressioni hanno la stessa origine e non tutte le depressioni si curano nello stesso modo. Ma c'è un altro elemento, mai detto in modo esplicito, che traggo io dalla lettura del romanzo: la verità di un vecchio e considerato superato principio “non ci sono malattie, ma ammalati” e ogni ammalato va curato tenendo conto delle sue peculiarità.
Oggi la medicina si basa su analisi, medicine, protocolli, interventi più o meno invasivi, tanti specialisti, che ignorano l'operato e i problemi dell'altro; infine, l’assenza di un medico “di fiducia” che stimoli, coordini e controlli l'operato degli specialisti. L'attuale medico di base si limita a scrivere ricette e prescrizioni, non si sognerebbe mai di contraddire una cura di uno specialista, anche se quest'ultimo avesse prescritto cinquanta flessioni al giorno ad un paralitico.
Così l'identità dell'ammalato viene persa in questo meccanismo, che, come nel caso della Pivetti, può diventare perverso e non portare alla guarigione. La Pivetti riuscirà a guarire solo quando si metterà in mano a due medici anziani che, nella cura, conoscono l'importanza che devono dare all'ammalato.
Come dicevo un romanzo quasi d'avventura, piacevolissimo da leggere, proprio per la sua leggerezza, malgrado le sofferenze e i disagi descritti. Penso sia leggibile e utile anche a un depresso.
Ho smesso di piangere. La mia odissea per uscire dalla depressione
di Veronica Pivetti
Prezzo di copertina € 17,00
Disponibile anche in ebook a € 9,99
pubblicazione 31/01/2012
160 pagine, brossura
Mondadori
collana Ingrandimenti
Il problema vero della depressione è che non la puoi raccontare, non la puoi descrivere. È invisibile. E non è uguale per tutti. Ma per tutti è un male profondo e assoluto. E va affrontata, perché tanto non si scappa. Anche per questo Veronica Pivetti ha deciso di condividere con noi il suo momento buio. E lo fa con toccante onestà, senza censurare i momenti dolorosi che, come spesso accade nella vita, finiscono per diventare involontariamente molto comici. "Lei è malata, la sua tiroide non funziona più": questo si è sentita dire Veronica nel lontano 2002. Era così. La sua tiroide ha cominciato a dare i numeri, si è starata e l'ha traghettata verso una forte depressione, complici alcuni farmaci sbagliati che le erano stati prescritti. Così è iniziata la sua odissea medica. Alcuni dottori l'hanno salvata, altri massacrata, alcuni le hanno ridato la vita, altri gliel'hanno tolta. E finalmente, nel 2008, Veronica ha incominciato a rivedere la luce e a uscire da questo micidiale periodo nero. Sono stati sei anni infami, "anni nei quali mi sono detta continuamente che era inutile vivere così. Il tempo triste sembra sempre tempo perso". Anni difficilissimi che, però, non sono passati senza lasciare un segno. "Una volta ero perfettamente funzionante, ero nuova di trinca. E credevo che fosse quella la verità. Ora sono un po' rattoppata, ho un'anima patchwork e una psiche in divenire. Ed è questa la verità. Ma va bene così, perché la vita si fa con quello che c'è...
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