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 Anno VIII n° 5 MAGGIO 2012    -   MISCELLANEA


Vini d'Italia
Il Prosecco: una storia da degustare

Di Luana Scanu


A fine Maggio, per motivi di lavoro, avrò l'occasione di trascorrere cinque giorni in Veneto. Come farebbe qualsiasi amante del vino, appena riuscirò a svincolarmi dagli impegni lavorativi, mi getterò anima, corpo e palato, alla ricerca di piccole cantine Trevigiane e di vini da degustare.

Sarò proprio a Treviso, a pochi chilometri dalla patria di un vino che amo molto, ma che purtroppo ho imparato ad amare solo da pochi anni: il Prosecco. Prima di fare il corso di sommelier, quando ancora mi avvicinavo timidamente ai vini, consideravo il Prosecco un “vinello” e bevevo per lo più spumanti a Metodo Classico, perché, secondo la mia inesperienza, erano “più buoni”. Invece, poi, ho capito che non era una questione di buono o meno buono, pregiato o meno pregiato, ma solo ed esclusivamente di diversità!

Il Prosecco è un vino prodotto con il metodo “Charmat” o “Martinotti”, che permette di ottenere spumanti, spesso dolci, dalle caratteristiche note fruttate, per mezzo di recipienti a tenuta stagna chiamati autoclave. Questo metodo si è diffuso largamente perché è più adatto alla spumantizzazione di vitigni aromatici o fruttati, come i moscati, le malvasie e il bracchetto. Infatti, la lunga sosta sui lieviti, che invece caratterizza il “Metodo Classico” o “Champenoise”, nuocerebbe ai profumi dei vini aromatici. La sostanziale differenza tra i due metodi è la spumantizzazione, o meglio, la presa di spuma, che per il “Metodo Martinotti “ avviene in autoclave, mentre per il Metodo Classico avviene in bottiglia.

Anche la Glera, oltre alle uve aromatiche citate, trae vantaggio dal metodo Martinotti e con quell'uva si produce il Prosecco. A questo punto, però, dobbiamo soffermarci un attimo sui nomi appena menzionati, onde evitare confusione.

Sino al 2009, il nome “prosecco” non indicava il vino ma il vitigno.
Negli anni, infatti, si è largamente diffusa la necessità di tutelare il nome Prosecco, per evitare che cinesi, brasiliani, sudafricani o anche produttori europei lo usassero impropriamente.
Il Ministro Luca Zaia ha avuto un colpo di genio: ricondurre la derivazione del termine Prosecco al paesino Carsico omonimo da dove sembra avere origine il vitigno. Questo per fare in modo che ci sia un origine geografica, non terminologica, legata al vitigno della parola Prosecco.

Gli unici problemi, se così vogliamo chiamarli, che si sono presentati dopo questa proposta sono stati: il paese di Prosecco dista circa duecento chilometri da Valdobbiadene, patria del Prosecco, e poi, il vitigno coltivato in quella zona si chiama glera. Ma il problema è stato facilmente risolto: la zona di Prosecco è stata collegata con una DOC specifica a quella di Conegliano-Valdobbiadene, che è stata promossa a DOCG! Insomma, il vitigno prosecco è stato cancellato (almeno nel nome!) ed è stato sostituito con il vitigno glera, mentre per Prosecco ora s'intende esclusivamente il vino.

Questa mossa è stata considerata da alcuni un po' forzata, ma sicuramente era necessaria per il bene del Prosecco, vino tanto amato anche dall'imperatrice Livia Augusta che si narra si facesse portare a Roma, da Aquileia, anfore di terracotta contenenti un vino bianco del quale era particolarmente ghiotta. Il vino in questione era chiamato Pucino e, secondo alcuni studiosi. era prodotto con le uve prosec...scusate, glera!



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