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Dall’Istat Istat: disoccupati, inattivi, sottoccupati 2011 Gli inattivi disponibili che non cercano lavoro sono in Italia il triplo di quelli europei. Prosegue la crescita dei sottoccupati part time ed è principalmente “involontario” |
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LA SINTESI DEL RAPPORTO
Per rappresentare appieno la complessa realtà del mercato del lavoro è necessario andare oltre la rigida distinzione tra occupati, disoccupati e inattivi, con l’ausilio di indicatori complementari definiti in sede europea. I primi riguardano due segmenti di inattivi: - gli individui che non cercano attivamente un lavoro, ma sono disponibili a lavorare; - le persone che cercano lavoro ma non sono subito disponibili. La somma dei due segmenti rappresenta le cosiddette “forze di lavoro potenziali”. Un terzo indicatore è calcolato tenendo conto di quanti lavorano con un orario ridotto, ma dichiarano che avrebbero voluto e potuto lavorare più ore: i sottoccupati part time. Il gruppo è fortemente caratterizzato dal fenomeno dello scoraggiamento: il 43% (circa 1,2 milioni di unità) dichiara di non aver cercato un impiego perché convinto di non riuscire a trovarlo. In Italia, gli inattivi che non cercano un impiego rappresentano un aggregato più ampio di quello dei disoccupati in senso stretto (2 milioni 108 mila nel 2011); nella media europea, invece, i disoccupati risultano pari a più del doppio di questi inattivi. Nel 2011, gli inattivi che cercano un impiego ma non sono disponibili a lavorare sono 121 mila unità (-4,4%, pari a 6 mila unità in meno in un anno). Si tratta dello 0,5% delle forze di lavoro (l’1% nell’Unione Europea). Sommando le forze di lavoro potenziali ai disoccupati si ottengono le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo: nel 2011 si tratta di circa 5 milioni di unità. Sempre nel 2011, i sottoccupati part time sono 451 mila unità (+3,9%, pari a 17 mila unità in più rispetto al 2010) e rappresentano l’1,8% del totale delle forze di lavoro. IL DETTAGLIO Gli individui che non cercano un lavoro – ovvero che non hanno svolto almeno un’azione di ricerca di lavoro nelle quattro settimane precedenti quella di riferimento dell’indagine – ma sono comunque disponibili a lavorare entro due settimane sono pari, nella media del 2011, a 2 milioni 897 mila, l’11,6% delle forze di lavoro (Prospetto 1). In confronto al 2010, l’aumento è del 4,8%, pari a 133 mila unità in più. Nel 2011, gli individui che cercano un lavoro nelle quattro settimane precedenti l’intervista (anche in modo non attivo, come nel caso dell’attesa degli esiti di un colloquio di lavoro o dei risultati di un concorso) ma non sono disponibili a lavorare entro le due settimane successive (ad esempio, per ragioni familiari o di studio) risultano pari a 121 mila unità, e rappresentano lo 0,5% delle forze di lavoro. Occorre, inoltre, tener conto del sottoutilizzo delle potenzialità produttive degli occupati. L’area della sottoccupazione, che riguarda uno stock di persone già occupate e interessate a lavorare più ore, infatti, è espressione non solo di un volume di occupazione potenziale pronto a rispondere a un eventuale aumento della domanda, ma anche delle condizioni di difficoltà nella partecipazione al mercato del lavoro. Al contrario della disoccupazione, non si è in presenza di mancanza di lavoro ma di una situazione lavorativa subottimale o indesiderata. Il segmento della sottoccupazione più vicino alle situazioni di criticità individuate dalla disoccupazione è quello rappresentato dai lavoratori a orario ridotto che vorrebbero svolgere un numero maggiore di ore di lavoro, ma non ne hanno l’opportunità. Nel 2011, il gruppo dei sottoccupati part time è pari a 451 mila unità (+17 mila unità rispetto a un anno prima). L’incidenza sulle forze di lavoro passa dall’1,7% del 2010 all’1,8% del 2011. Gli inattivi disponibili che non cercano lavoro sono in Italia il triplo di quelli europei In Italia, il valore relativamente più basso del tasso di disoccupazione in confronto alla media dei paesi Ue (l’8,4% contro il 9,6% nel 2011) si affianca a una quota decisamente più elevata della popolazione inattiva più contigua alla disoccupazione: il 12,1% a fronte del 4,6% dell’Ue. In particolare, si trovano in Italia un terzo dei circa 8,6 milioni di individui che nei paesi dell’Unione europea dichiarano di non cercare lavoro ma di essere disponibili a lavorare, a fronte di poco più del 9% dei disoccupati italiani sul totale dei disoccupati Ue. Anche in rapporto alle forze di lavoro, questo gruppo di inattivi è superiore in Italia di oltre tre volte quello Ue: l’11,6% in confronto al 3,6%. Peraltro, percentuali molto contenute emergono in numerosi paesi tra i quali Francia (1,1%), Grecia (1,3%), Germania (1,4%) e Regno Unito (2,4%). Gli inattivi disponibili a lavorare sono in crescita sia in Italia sia in Ue: tra il 2008 e il 2011, parallelamente alla consistente crescita del numero di persone in cerca di occupazione (+24,6% in Italia, +38,8% a livello europeo), si osserva un incremento anche degli inattivi che sarebbero disponibili a lavorare (rispettivamente +10,4% e +17,1%). In quasi tutti i paesi dell’Unione europea, le donne inattive disponibili, in rapporto alle forze lavoro, sono in numero significativamente più elevato in confronto agli uomini. Tuttavia nel nostro Paese il divario è più ampio: il 16,8% delle donne rispetto al 7,9% degli uomini (4,5% a fronte del 2,8% nell’Ue). In tutti i paesi Ue, il numero di coloro che hanno fatto azioni di ricerca ma, per qualche motivo (familiare, di studio, per la cura dei figli, ecc.), non sono disponibili a iniziare a lavorare nel periodo successivo quello dell’intervista è piuttosto contenuto; nella media dell’Unione europea è pari all’1% delle forze lavoro. In Italia rispetto all’insieme dei paesi dell’Ue l’incidenza dei sottoccupati part time è più contenuta (rispettivamente 1,8% e 3,6%). Con l’eccezione dei Paesi Bassi, in altri paesi (Francia, Germania, Regno Unito e Svezia) la maggiore diffusione del part time comporta una più ampia quota di sottoccupati part time sulle corrispondenti forze di lavoro. D’altro canto, il numero dei sottoccupati part time italiani rappresenta solo il 5,3% dei circa 8,6 milioni di sottoccupati part time dell’Ue. Di contro, quattro paesi (Francia, Germania, Spagna, Regno Unito) rappresentano da soli oltre il 70% dei sottoccupati part time dell’area. In confronto al 2008 il fenomeno si presenta in crescita (+11,3% in Italia e +15,6% nell’Ue). Mai così tanti dal 2004 gli inattivi disposti a lavorare ma che non cercano lavoro Nel 2011, gli inattivi che non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare con 2 milioni 897 mila (+4,8%, pari a 133 mila unità in più su base annua), raggiungono il livello più elevato dal 2004. In percentuale delle forze di lavoro si passa dall’11,1% del 2010 all’11,6% del 2011. In questo contesto, il divario di genere continua a rimanere elevato. Nella media dello scorso anno, le donne che appartengono a questo gruppo di inattivi corrispondono al 16,8% delle forze di lavoro femminili, a fronte del 7,9 % degli uomini. Continua anche la crescita dei 15-24enni che non cercano lavoro ma sono in ogni caso disponibili a lavorare: dal 30,9% delle forze di lavoro giovanili del 2010 al 33,9% del 2011. D’altro canto, gli individui che non cercano ma vorrebbero comunque lavorare equivalgono nel Mezzogiorno a circa un quarto delle forze di lavoro, un risultato di oltre sei volte superiore a quello del Nord. Con riguardo ai giovani e al Mezzogiorno, i fenomeni di crescente disagio manifestati da questo gruppo di inattivi si accompagnano a quelli particolarmente ampi rappresentati dai relativi tassi di disoccupazione. Rispetto al 2010 è andata rafforzandosi la presenza degli uomini che non hanno cercato un impiego (nelle quattro settimane che precedono quella di riferimento), ma che desiderano e sono disponibili a lavorare. In ogni caso, come lo scorso anno, sei ogni dieci inattivi di questo gruppo sono donne. Nel complesso, il 42,6% (circa 1,2 milioni di unità) degli individui classificati tra gli inattivi che non cercano lavoro ma sono disponibili dichiara di aver rinunciato a cercare lavoro perché ritiene di non trovarlo. Lo scoraggiamento interessa in misura consistente sia gli uomini sia le donne (Figura 2). L’incidenza degli scoraggiati sale fino al 47% nelle regioni meridionali, in cui alle minori opportunità d’impiego si affianca una maggiore sfiducia nella possibilità di trovare e mantenere un’occupazione. D’altra parte, la mancanza di competenze specifiche da spendere sul mercato del lavoro alimenta un atteggiamento di rinuncia alla ricerca attiva: nel gruppo degli inattivi disponibili, gli scoraggiati sono la metà tra coloro che hanno conseguito al massimo la licenza media, un quinto tra i laureati. Oltre allo scoraggiamento, la cura dei figli e/o dei familiari rappresenta per la componente femminile il motivo più significativo della mancata ricerca del lavoro, interessando una donna su cinque. Riguardo alla componente maschile rimane, invece, rilevante l’atteggiamento di attesa dei risultati di passate azioni di ricerca. La distinzione tra disoccupati e coloro che non cercano attivamente un’occupazione si attenua analizzando la condizione professionale dichiarata dai soggetti. Tre individui su cinque tra quelli che non hanno cercato un impiego, anche se disponibili, si dichiarano in cerca di occupazione. Il limite temporale delle quattro settimane nelle quali svolgere un’azione di ricerca – una delle condizioni ILO per essere classificato disoccupato – non modifica, dunque, la percezione degli individui che nella gran parte, si sentono disoccupati. L’incidenza di chi si considera in cerca di occupazione raggiunge l’83% tra gli uomini mentre tra le donne si riduce al 49% del totale. Una parte altrettanto significativa di donne si dichiara casalinga (il 42% nel 2011). In calo gli inattivi non disponibili che cercano lavoro Nel 2011, gli inattivi che cercano attivamente un impiego ma non sono subito disponibili a lavorare sono pari a 121 mila unità e corrispondono allo 0,5% delle forze di lavoro. Storicamente questo gruppo è di scarsa numerosità rimanendo sempre al di sotto dell’1% delle forze di lavoro sia nella componente maschile sia in quella femminile. Anche riguardo ai giovani (15-24 anni) si tratta nella media del 2011 dell’1,5% delle corrispondenti forze di lavoro. I due terzi degli individui che hanno concretamente cercato un lavoro (nelle quattro settimane precedenti l’intervista) ma non sono subito disponibili a lavorare si dichiarano in cerca di un impiego, ossia alla ricerca di un nuovo o di un primo impiego. Tra gli uomini la percezione della propria condizione lavorativa come quella di disoccupato aumenta fino al 73%; tra le donne l’incidenza è del 63% mentre il 19% si dichiara casalinga. Lo studio rappresenta la principale ragione della mancata disponibilità da parte dei giovani che cercano lavoro; i motivi personali e familiari danno invece conto della mancata disponibilità delle classi più adulte. Prosegue la crescita dei sottoccupati part time Nel 2011, i sottoccupati part time sono pari a 451 mila unità (+3,9% rispetto al 2010) e rappresentano l’1,8% delle forze di lavoro. L’incidenza più contenuta per gli uomini rispetto alle donne (nell’ordine 1,1% e 2,8%) riflette la maggiore diffusione dell’occupazione part time tra le lavoratrici. Il fenomeno della sottoccupazione coinvolge gli stranieri in misura più intensa degli italiani (4,7% delle forza lavoro in confronto all’1,5%). In un contesto di crescita del numero di sottoccupati part time dalla seconda metà dello scorso decennio, emerge la più alta quota di sottoutilizzo delle donne, mentre almeno un sottoccupato ogni due ha tra 35 e 54 anni. D’altro canto, nelle aree del Nord, dove è maggiore lo sviluppo degli impieghi a orario ridotto, risiede quasi la metà dei sottoccupati. Sebbene la più alta incidenza si trovi per i soggetti con un livello di istruzione non superiore al diploma di scuola media, nel 2011 aumenta il peso relativo dei laureati. Il divario tra il numero di ore lavorate dai sottoccupati part time e quelle che avrebbero voluto svolgere è decisamente ampio. A fronte delle 17 ore lavorate, gli stessi soggetti desidererebbero lavorare in media 36 ore. In particolare, il 28% dei sottoccupati part time avrebbe voluto svolgere fino a 34 ore settimanali, mentre il restante 72% sarebbe stato disponibile a lavorare 35 ore o più. Infine, nell’esperienza italiana, gran parte del part time è di tipo involontario, ossia svolto in mancanza di occasioni d’impiego a tempo pieno. Tra i sottoccupati part time quelli a carattere involontario sono nove ogni dieci. vedi il testo
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