Ho conosciuto Simone Perotti di sfuggita: era sulla soglia della biblioteca comunale e parlava con il mio libraio di fiducia. Non sapevo chi fosse, cosa facesse e soprattutto cosa non facesse nella vita. L’ho incrociato sulla mia strada mentre parlava di una vecchia sedia di legno trovata chissà dove, probabilmente vicino a un cassonetto, alla quale bisognava restituire una seconda possibilità di vita. Lo diceva come se parlasse di un uomo al quale bisogna dare un’ultima chance per rifarsi di una vita vissuta in modo incompleto. Parlava di pesci, Simone Perotti, con quella sua faccia bruciata dal sole e le mani di uno che si arrangia a fare tutto, nel miglior modo possibile: pesci pescati e pesci costruiti da lui con il ferro zincato.
“Presenta il suo libro sul downshifting”, mi ha detto il libraio. Se mi avesse parlato di costellazioni, nomi di composti chimici o sottofamiglie di piante grasse, forse avrei usato l’intuito e avrei capito, più o meno, l’argomento. Ma il downshifting no: il mio traduttore simultaneo non lo contemplava e così ho pensato che fosse un argomento tedioso di economia applicata.
Mi sbagliavo solo in parte: il downshifting tratta anche argomenti che hanno a che fare con l’economia, quello sì, ma non nel senso più noioso del termine. Ho dato un’occhiata alla quarta di copertina del libro, giusto per annuire con cognizione di causa davanti al libraio che mi riassumeva il tutto, vista la mia fretta di scappare, inseguita da impegni difficili da incastrare o tagliare per trovare lo spazio per seguire una presentazione. Sul fantomatico “downshifting”, tra l’altro: che poteva essere indistintamente una malattia dei fiori o chissà quale pratica da chiromante.
Non sapevo, ancora, che gli argomenti ricorrenti nel libro (anzi, nei libri) di Simone Perotti erano proprio la fretta di vivere e la possibilità di ritagliare spazi per…vivere, appunto. Ho preso il libro, per curiosità più che per interesse, l’ho portato a casa e ho aspettato la giornata in cui avevo voglia di fare letture “impegnate” ma non troppo: di quelle in cui spulci il libro, salti dieci pagine e ti fermi solo quando incroci qualche concetto che conosci già. Io del downshifting non conoscevo assolutamente niente, e me ne sono innamorata.
Altro che lettura ‘a salti’: ho divorato il primo libro di Simone in cui mi sono imbattuta, “Adesso basta” e ho atteso, trepidante, anche il successivo “Avanti tutta”. Ho sognato i suoi sogni, ho visto che il cambiamento è possibile, ho visto che c’è un modo alternativo e bellissimo e rischioso (ma se non lo fosse sarebbe forse bellissimo?) e un po’ pazzo, per vivere pienamente.
Detto questo: cos’è il downshifting? E’ un modo di vivere. Ma vivere veramente, non solo perché dotati di respiro, battiti e cose così. Vivere intensamente ogni opportunità che ci viene offerta, o che ci andiamo a cercare, nella vita. Qualcuno traduce il termine downshifting come “semplicità volontaria”, ma come al solito le traduzioni italiane non rendono merito ad un concetto bel più vasto e profondo, sul quale io vedo davvero un modo alternativo di vivere senza limitarsi a ‘stare al mondo’.
Prendiamo un uomo medio, un impiegato, che vive gran parte del suo tempo chiuso in un ufficio, con colleghi che non ha scelto e per fare un mestiere che probabilmente gli è cascato addosso (l’arte di accontentarsi di qualunque cosa in tempo di crisi): torna a casa, ha giusto il tempo per mangiare, dare un’occhiata alla tv o al pc, un’occhiata a moglie e figli (o al cane, se non ha i primi) e poi, a letto.
L’indomani, stesso iter.
E’ un uomo che ama la musica e che vorrebbe avere del tempo da passare sul divano, cuffie alle orecchie e sottofondo di note: gli manca il tempo. Forse gli piacerebbe anche imparare a suonare la chitarra, suonarla bene, andare oltre i due accordi con i quali strimpella “La canzone del sole”, sempre e solo quella: ma non ha tempo. Anche per poter intagliare i ciocchi di legno come faceva da studente, e costruire piccole barche a vela, ci vorrebbe del tempo, anche poco, anche un’ora al giorno: ma lui quel tempo non ce l’ha.
Sono piccole cose, ma sommate, diventano vita non vissuta, sogni non realizzati, creatività sprecata e chiusa nei faldoni che non si riapriranno più. Simone Perotti, e come lui i downshifter del mondo (non sono tanti, ma neanche pochissimi: è la qualità che conta) hanno detto “Adesso basta”.
Sono stati additati come pazzi, e forse non a torto: perché per lasciare un lavoro sicuro, in questi ultimi anni, un po’ pazzo lo devi essere. Ma per lasciare un lavoro sicuro, ci dev’essere un motivo valido, validissimo, che non lascia spazio alle insicurezze economiche, personali, sociali.
Cos’ha fatto Simone Perotti dopo aver abbandonato un lavoro fisso, ben retribuito, con ottime possibilità di “ascesa” verso ruoli sempre più prestigiosi?
Ha iniziato a vivere. Veramente. Senza gabbie di orari, di formalità, di incontri, di scadenze he ti tolgono il respiro e talvolta il sonno.
Ha iniziato a vivere pienamente, facendo quello che ha sempre sognato di fare e quello da cui ha sempre tratto giovamento.
Giovamento personale, non profitto: ma chi dice che l’uno escluda l’altro?
Simone ha fatto la lista delle sue capacità: scrivere, navigare, scolpire, restaurare e chissà quante altre. Capacità che sono anche passioni, passioni che possono anche portare ad un guadagno: non altissimo, ma il tanto per vivere bene, soprattutto se ci si apre a una mentalità volta al risparmio energetico e, ovviamente, economico (ma anche culturale, psicologico, sociale).
Ora, dopo quasi vent’anni di clausura in un ufficio con uno stipendio da manager, vive in una casetta di pietra che ha ristrutturato lui stesso, per guadagnare lava e restaura barche, dà lezioni di vela, fa lo skipper, costruisce pesci, scrive libri e articoli di giornale e campa con 800 euro al mese, cercando di ottenere il massimo dalla vita, con quello che ha.
Dice di aver cambiato la sua vita, Simone, non perché non fosse bellissima: lo era già. Ma ora, afferma, è stupenda. Plausi e contestazioni, per Simone: chi lo incoraggia, chi lo invidia, chi gli dice che con tutti i libri che ha venduto ormai e ricco e quindi è facile che parli così. Ma Simone non è nato ricco e non credo lo sia neanche adesso: semplicemente ha trovato un modo (e non è l’unico, il suo caso non è isolato!) per vivere pienamente la vita senza costrizioni, ma seguendo il suo ritmo, i suoi tempi, le sue passioni.
Intanto mi godo il tempo, tornato lento, tornato mio. Lento e mio soprattutto quando scrivo per dodici ore di fila. Quando morirò, che sia domani o tra chissà quanto, nessuno potrà dire che non ho vissuto tutto fino all’ultima goccia. Soprattutto, questo dubbio, questo rimpianto, non ce l’avrò io.
Adesso basta. Lasciare il lavoro e cambiare vita. Filosofia e strategia di chi ce l'ha fatta
di Simone Perotti
Prezzo di copertina € 14,00
Data uscita08/10/2009
190 pagine, brossura
Editore Chiarelettere
collana Reverse
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