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Considerazioni sui risultati di una indagine del CENSIS Sicilia: dalla bit alla N.E.E.T. Generation Il modo di essere lavoratori di oggi dei giovani Di Chiara di Martino
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È passato appena qualche decennio da quando esplose la moda dei capelloni. Quattro scarafaggi dal caschetto plumbeo guidava orde di ragazzi verso il futuro rivendicando la propria libertà a suon di rock&roll. Era cultura anche quella, nonostante ciò che pensassero i genitori dell’epoca. Era rottura degli schemi, c’era la speranza e la spensieratezza del boom economico ad accompagnare quei sogni. Oggi la stessa fascia d’età porta il peso di un declino culturale, economico e sociale senza precedenti.
Il 35,7% dei giovani non studia e non lavora. Questo triste dato snocciolato dal CENSIS incorona la Sicilia regina della disoccupazione giovanile e non solo: infatti la percentuale include anche l’abbandono totale dei circuiti di apprendimento, facendo esplodere cosi un’emergenza non più soltanto di carattere educativo, ma soprattutto sociale. Per analizzare questo dato occorrerebbe vagliare diversi fattori, dalla disillusione verso il futuro, sempre più derubato di sogni e speranze da parte di chi il presente lo vive senza nessun disagio, alla completa mancanza di stimoli e di offerte formative da parte del contesto socio-economico in cui si vive e tenere conto del lavoro nero che fagocita centinaia di ragazzi disoccupati sulla carta, ma con il portafoglio discretamente pieno. Le percentuali sono senza alcun dubbio preoccupanti, anche perché il dato preso in esame si riferisce ad un contesto economico e occupazionale tra i più deboli del Paese. La Sicilia, infatti, condivide con la Campania il triste primato della presenza di giovani Neet (not in education, employment or training) si tratta del 35,7% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni bloccati in un limbo che li ha visti fuggire dal sistema scolastico, senza però essere convogliati in quello lavorativo. Che sia solo colpa della crisi? Risulta, infatti, che sino al 2010 i NEET italiani erano il 16 per cento dei giovani tra i 16 e i 24 anni e il 24 per cento di quelli tra i 25 ed i 30, per poi crescere a dismisura a ridosso del 2011. Tra i giovani che lavorano, la percentuale di quelli che riescono a passare dal contratto a termine al contratto permanente ad un anno dall'assunzione è diminuita dal 31 al 22 per cento. Senza il famigerato “pezzo di carta” resta davvero ben poco da fare; la cultura occidentale ormai viaggia sul binario della specializzazione dei settori; è un percorso naturale: nel momento in cui la popolazione aumenta bisogna creare posti di lavoro e maggiori livelli di selezione per poterli assegnare. Tutto molto giusto. Ma si sta perdendo anche il concetto di esperienza maturata sul campo, non sempre un percorso accademico può sostituire quello che è lo scontro con la realtà delle cose. Il dramma degli ultimi anni è stato lo svecchiamento delle aziende, impiegati di una certa età che godevano di alcuni privilegi proprio in cambio di quella abilità acquisita solo grazie alla decennale esperienza, sbattuti fuori per lasciare il posto a sbarbatelli annaspanti, messi lì solo perché lo stipendio aveva uno zero in meno. Largo ai giovani senza dubbio, ma con moderazione; il ricambio generazionale dovrebbe avvenire nella maniera più graduale e naturale possibile, cosi magari si eviterebbe il neo impiegato alle poste che suda freddo alla vista di una raccomandata. Argomenti: #giovani , #lavoro , #sicilia , #società Leggi tutti gli articoli di Chiara di Martino (n° articoli 21) |
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