ATTENZIONE  CARICAMENTO LENTO



La nostra Storia

Nell’epoca dell’incertezza, quando il futuro fa paura

Di Marina Minasola

Non scrivo su Spaziodi Magazine da diversi anni ormai, ma quando ho saputo che quello di settembre sarebbe stato l’ultimo numero di questa rivista, che tanto mi ha dato, ho sentito il bisogno di lasciare anche io una piccola traccia.

Ho pensato molto intensamente a quale potesse essere l’argomento più adatto da trattare: la guerra in Siria, il conflitto politico-istituzionale tra il Colle e la procura di Palermo, la crisi economica. Poi però ho capito che non era di questo che volevo davvero parlare.
Come mi è stato detto, Spaziodi cessa le pubblicazioni non per mancanza di letture ma perché, diversamente da quando questa splendida avventura editoriale era iniziata, la stampa on-line è tanto diffusa da risultare addirittura “ridondante”. Chi in questo progetto ha creduto, dedicando ad esso tutte le proprie energie per 8 anni, ha deciso di voltare pagina, spinto dalla voglia di sperimentare qualcosa di nuovo.

La motivazione profonda di questa scelta, tanto dolorosa quanto coraggiosa, mi ha fatto capire che, in questo momento, neanche io voglio essere “ridondante”: oggi non voglio esprimere opinioni, come facevo in passato, sull’attualità o sulla letteratura, preferisco parlare di me, di quando ho iniziato a scrivere per questa rivista e del momento in cui, invece, ho deciso di smettere. Voglio parlare di noi. Non si tratta di egocentrismo o di autoreferenzialità, ma della convinzione che la mia storia sia anche la storia di questa redazione, quella della maggior parte di voi lettori o, almeno, di qualche vostro figlio, nipote, amico. Parafrasando un volume a me molto caro della grande Elsa Morante, di recente ricordata in occasione del centenario dalla sua nascita, credo che si tratti di una storia personale, con la “s” minuscola, che però diviene anche la Storia di tutti, con la “S” maiuscola.

Si intitolava “Vox populi” il mio primo articolo per Spaziodi, la lettura che dava una ragazza all’ultimo anno di liceo con il sogno di diventare giornalista dell’esperimento, inedito e ben riuscito, delle primarie di quel partito che allora si chiamava “Unione”. Ero entusiasta dell’ampia partecipazione che si era registrata in quelle consultazioni, la consideravo una vittoria della democrazia e, con ingenua speranza, confidavo che il leader neo-investito, Romano Prodi, potesse condurre ad un reale cambiamento. Quando Gianni Gelmini decise di pubblicare l’articolo e di farmi entrare a pieno titolo in redazione ero, semplicemente, felice. Non pensavo alle difficoltà che un giornalista deve superare per affermarsi professionalmente, né a quelle che avrebbe incontrato il partito che mi aveva conquistato. Oggi l’Unione non esiste più, così come non esiste più quella ragazza che immaginava nel giornalismo il suo futuro.

Amavo Spaziodi, la libertà con cui sentivo di potermi esprimere, l’idea che le opinioni di una ragazzina palermitana potessero giungere a lettori di tutte le età e di tutte le regioni italiane mi dava un’incredibile carica, così come la speranza di poter fare della mia passione, un giorno, una professione. Per due anni e mezzo questa redazione è stata una seconda scuola, ho imparato tanto e sono cresciuta, ho stretto legami che ancora oggi so che esistono e che continueranno ad esistere.

Il germe del pragmatismo, la paura di fare una scelta sbagliata, tuttavia, mi hanno indotto ad accantonare i miei sogni già nella scelta universitaria, facendomi rinunciare alle opzioni che in astratto avrei preferito, come le facoltà di lettere, quella di letteratura o, ancor più, quella di giornalismo. Mi sono convinta che un buon compromesso tra ciò che avrei voluto fare e ciò che “avrei dovuto” fare (ossia dar seguito alla carriera dei miei genitori iscrivendomi ad odontoiatria) fosse giurisprudenza, una facoltà che, in linea teorica, apre svariate porte e può essere molto utile anche per l’esercizio più consapevole della professione giornalistica. Ho scelto, insomma, di rinviare la scelta.

Durante il primo anno di università ho continuato a scrivere per questa testata, riuscendo a raggiungere l’ambito traguardo del tesserino di giornalista pubblicista. Quello che doveva essere però il vero inizio del mio sogno ne è diventato la fine. Mi sono subito resa conto delle difficoltà, ho letto tanto, mi sono documentata a fondo, forse troppo, e proprio per questo ho cominciato ad avere, di nuovo, paura. Un pubblicista, per sperare in una futura carriera, deve essere disposto a lavorare tantissimo a fronte di retribuzioni da elemosina, che in media si attestano, anche nelle testate più importanti in Italia, nell’ordine dei 2-3 euro a pezzo.

La paura ha vinto, la odio e mi odio per questo: non ho più scritto articoli. Mi sono concentrata negli studi. Oggi ho 23 anni, sono laureata in legge già da un anno, ma ho ancora paura. Sentir parlare ogni giorno, da quanto tempo ormai neppure lo so, di crisi, disoccupazione giovanile e femminile in particolare, di esubero di avvocati, di possibili blocchi pluriennali dei concorsi pubblici (compreso quello più ambito da me e dai miei colleghi, il concorso in magistratura), mi paralizza. Mi sembra di aver rinunciato ad una passione che avrebbe potuto garantirmi solo un futuro incerto per andare incontro ad un futuro altrettanto incerto e non meno privo di sacrifici.

Penso a mia madre, che alla mia età era già sposata e lavorava, e la invidio. Penso alla me del liceo, e mi manca. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, ma non pensavo così presto. Penso alla nostra redazione, mi manca anche lei. Penso al mio futuro, al futuro dei miei amici con lauree ancora meno “sicure” della mia, a tutti i miei, tanti, conoscenti che hanno lasciato Palermo e l’Italia.

Chiude Spaziodi, e con lei se ne va anche quella parte di me che avevo dimenticato ma che, in fondo, mi ero sempre illusa di poter recuperare in qualsiasi momento. Certe volte siamo convinti di aver soltanto rinviato una scelta, in realtà però l’abbiamo fatta: siamo cresciuti e, più o meno consapevolmente, abbiamo rinunciato ai nostri sogni e ne abbiamo creati altri.

Oramai è tardi, bisogna andare avanti confidando nell’arrivo di tempi migliori, in cui il “nuovo” porti con sé più speranza che paura.

Grazie alla mia redazione, in bocca al lupo a tutti quanti.

Argomenti:   #magazine



Leggi tutti gli articoli di Marina Minasola (n° articoli 39)
il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo
© Riproduzione vietata, anche parziale, di tutto il materiale pubblicato

Articoli letti
15.265.481

seguici RSS RSS feed

Il sito utilizza cockies solo a fini statistici, non per profilazione. Parti terze potrebero usare cockeis di profilazione