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Paolo De Stefani: "Giardini d'ombra" A Clusone dal 6 Ottobre al 6 Novembre 2012 |
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Il minuzioso e fabbrile lavoro che crepita nelle sue opere, sembra talvolta offuscare l’immaginazione sorgiva dalla quale esse scaturiscono.
De Stefani è un ‘angelico operaio della scultura’, ma è anche ‘artifex’.
E’ costruttore. Edifica le sue sculture, anche quelle più esili o di ridotte dimensioni. Innalza forme, a un tempo, fragili e possenti come rocce affilate che tagliano cieli vicini, aeree come fiamme di granito che non si arrestano sul crinale. I suoi lavori nascono da un progetto. Sorgono nella sapienza, e con la diligenza, in un insolito cantiere nel quale si mette in opera l’armonia di una struttura unitaria, costruita dalla pittura e dalla scultura. Le diciotto opere esposte fluiscono coralmente nello spazio. Ma il loro accordo tende anche ad assorbirlo, a contenerlo. Avvicinandosi sempre più alla soglia che unisce scultura e architettura, compongono una scultura da abitare. Con la bellezza di questi tappeti verticali, lo scultore costruisce “un riparo decorato”.
«[…] La scultura posa nel vuoto. Si svuota lo spazio per costruire l’oggetto, e l’oggetto crea a sua volta uno spazio. […]». ALBERTO GIACOMETTI
De Stefani adagia le sculture nello spazio.
Compone piani sottili - dalle affilate prue - perché lo percorrano. Li inflette perché comprendano il suo scorrere e addensino la luce che lo attraversa. Li svolge, o li sovrappone, perché il tempo si soffermi sulle loro superfici, corrugate da un’oscurità solida e tuttavia vibrante per il chiarore dei cristalli che ha seminato. Le loro forme, lievi come un’ala, ma dense come un’ombra di un meriggio assolato, paiono sospese in un movimento fermo. Eppure queste ali d’ombra sembrano muovere lo spazio. O, forse ancorarlo in luoghi senza tempo e senza gravità. Dove aleggia «[…] quella quarta dimensione che è sospesa tra il visibile e l’invisibile […]».
«[…] Il giardino: spazio assolutamente altro dagli spazi che la nostra quotidianità consuma consumandosi in essi. […] uno spazio in cui l’interiorità si fa mondo, e il mondo si interiorizza. […]». .
De Stefani ha abbandonato l’immagine figurativa.
Ma le sue opere appaiono frontalmente, ed anche le più minute rammentano la solenne fissità di antichi affreschi. Tuttavia, il termine pittura non sempre si adatta a forme che s’incamminano, seppur pacatamente, verso una terza dimensione. I minuscoli stili luminosi che gremiscono superfici, già interrotte da incisioni, suture e sovrapposizioni - ancorché delicate - increspano quelle tavole, dipinte da un puntinismo musivo, nell’armonia di eterei rilievi. Forse neppure il termine scultura riesce a comprendere del tutto la specificità di queste forme. L’articolata e mistilinea configurazione dei loro contorni sembra muoversi, cercando una geometria regolare e un assetto stabile. Spinge invece le forme che dovrebbe racchiudere verso una geometria tridimensionale e dinamica. Tale irregolarità, volutamente introdotta, ma sapientemente calibrata, non interrompe il ritmico fluire di segni sparsi con segreto ordine. Imprime a queste sottili pietre notturne, l’inquietudine spaziale di una forma che muta. Ma nel movimento lieve di una siepe. Le sculture di De Stefani non poggiano su un piedistallo. Sono sculture parietali. Eppure non sembrano appese. Paiono sospese ad un labile baricentro. E quando la loro verticalità si fa accentuata, somigliano a guglie. Tendono al cielo, ma anche alla terra. Non sorgono dal suolo. Sembrano sorgere dal vuoto. Solo l’ombra che dipingono sulle pareti dalle quali aggettano, ne svela l’origine e la concretezza. Ma, al tempo stesso, quell’ombra le stacca - e quasi le libera - dalla parete e dallo spazio che le racchiude. Le sospinge in un luogo aperto, e tuttavia non sconfinato, dove si incontrano artificio e natura. Le sue sculture sgorgano con l’innocente spontaneità della natura, ma crescono - anche se così leggere - con la fatica di costruire un’altra natura. De Stefani conosce la loro delicatezza e sa che, per non appassire, chiede cura. Così, talvolta, le custodisce in teche, per proteggere la loro fragilità. Le racchiude nella sommessa architettura di un’edicola, per conservare il loro mistero. Le recinge, con la quiete di sottili soglie, oppure con il nitido rigore di confini che delimitano, racchiudono e riparano l’architettura di un giardino. Le sue forme sono in pacato, ma continuo divenire. Paiono giardini d’ombra coltivati dal silenzio, ove sbocciano nidi di luce e germogliano colori di rugiada. Quell’ombra è tenue, come un alito di vento che trapela da una fenditura di una roccia. Poi scorre in altri giardini. Ed è meno lieve.
Tratto dalla presentazione critica di GRAZIANO TOGNINI
Argomenti: #arte , #arte contemporanea , #clusone , #de stefani , #mostra |
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