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“Alighiero e Boetti” A Milano, dal 28 novembre 2012 al 22 marzo 2013 |
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L’esposizione presenta 25 opere realizzate negli ultimi trent’anni di attività, nelle quali il tratto, il disegno e il colore sono diventati la materia essenziale della sua ricerca e che spaziano tra una pluralità di tecniche e di materiali che vanno dai disegni ai ricami, dai collage alle matite su carta, ai grandi acquarelli del “Cielo”, dai lavori postali alle biro, agli arazzi che rappresentano la sua icona più riconoscibile. Personaggio versatile, in grado di sviluppare una poetica singolare e molto attuale. Boetti ha saputo cogliere la complessità del mondo contemporaneo, superando anche le barriere di un universo culturale che oggi sembra chiuso da confini insormontabili, come quelli dell’Afghanistan, dove Boetti ha vissuto e realizzato molti dei suoi lavori.
L’ecletticità dell’artista è evidente dall’appellativo col quale era solito firmare le sue creazioni, Alighiero e Boetti - da cui il titolo della mostra - che anticipava, a distanza di anni, il dibattito tra identità e alterità. “Alighiero - affermava lo stesso Boetti - è la parte più infantile, più estrema, che domina le cose familiari, Alighiero è il modo in cui mi chiamano e mi nominano le persone che conosco, Boetti è astratto, appunto, perché il cognome rientra nella categoria, mentre il nome è unico il cognome è già una categoria, una classifica. Questa è una cosa che riguarda tutti. Il nome dà certe sensazioni di familiarità, di conoscenza, di intimità. Boetti, per il solo fatto di essere un cognome, è un’astrazione, è già un concetto”.
Il piatto forte della mostra è rappresentato dagli arazzi degli anni Ottanta, che Boetti faceva realizzare in Afghanistan, ricchi di colori e di frasi che sceglieva personalmente, per poi farle ricamare. “Scrivere con la sinistra - era solito affermare - è disegnare. Le mie scritture sono tutte fatte con la sinistra, una mano che non sa scrivere, mostrano quindi anche una punta di sofferenza fisica, ma scrivere è un gran piacere. Ci sono parole che uccidono, parole che fanno un male tremendo, parole come sassi, parole leggerissime, parole reali come in numeri. Ma se vuoi veramente qualcosa mettilo per iscritto”. ALIGHIERO E BOETTI Milano, Studio Giangaleazzo Visconti (Corso Monforte, 23) 28 novembre 2012 - 22 marzo 2013 Orari: da lunedì a venerdì 11:00 - 19:00 Ingresso libero Catalogo in mostra Info Studio Giangaleazzo Visconti Tel. 02.795251 info@studiovisconti.net www.studiovisconti.net ALIGHIERO BOETTI (Torino 1940 – Roma 1994)
Boetti affronta questi temi senza mai riferirsi ad un movimenti specifico. Dal punto di vista artistico Boetti esordisce nella seconda metà degli anni Sessanta con una personale alla Galleria Christian Stein di Torino nel 1967 dove presenta delle sculture costruite per accostamenti elementari di materiali industriali. Autodidatta, dopo aver abbandonato gli studi di Economia, si interessa alla cultura orientale e a diverse discipline, quali la filosofia e l’alchimia. Attraverso il lavoro sui concetti di serialità e ripetitività pone in discussione il ruolo tradizionale dell’artista sviluppando il problema del doppio: con il lavoro “Gemelli” dal 1968, l’artista presenta un fotomontaggio di due ritratti di se stesso apparentemente identici che si tengono per mano (pare che l’unica differenza tra i due fosse uno shampoo intercorso tra i due scatti) Queste riflessioni lo spingeranno, tra la fine del 1972 e il 1973, a firmarsi Alighiero e Boetti. Dal 1971 al 1980 è ossessionato dalla serialità e dall’ordine e disordine delle cose, vuole codificare tutto: fiumi, bandiere, segni. Nel 1971 iniziano i suoi viaggi periodici in Afghanistan che inaugurano il ciclo dei ricami coloratissimi realizzati da donne afgane. Il lavoro sul tema del doppio corrisponde alla realizzazione di opere che coinvolgono la collettività e riguardano il linguaggio e la comunicabilità: tra il 1972 e il 1973 realizza il ciclo lavori a biro. Agli anni Settanta appartengono anche le riproduzioni a matita delle copertine dei periodici di informazione, “Immagine e somiglianza”. Negli anni Novanta realizza alcuni arazzi di grandi dimensioni denominati “Tutto” dove appaiono in silhouette un grande numero di immagini che ne ricoprono interamente la superficie. Del 1993 è un’opera collettiva che coinvolge le Accademie d’Arte francesi: “Alternando da uno a cento e viceversa”, poi ricamato da donne afgane. Allo stesso anno appartiene l’opera considerata di commiato, un autoritratto in bronzo nell’atto di raffreddarsi innaffiandosi la testa.
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