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Gli ultimi giorni di Napolitano nel caos della politica italiana

Il quadro politico è fortemente degenerato, le larghe intese sono, in concreto, impossibili perché gli obiettivi dei partiti sono divergenti e non tengono conto delle necessità dell'Italia

Di Giovanni Gelmini

Credo che il discorso tenuto oggi, 12 Aprile 2013, da Napolitano, in occasione della consegna delle relazioni conclusive dei Gruppi di lavoro, in materia economico-sociale ed europea e sui temi istituzionali, dai lui insediati all'inizio del mese, possa essere considerato un poco la sintesi della situazione che si è venuta creando e degli interventi fatti dal Presidente della Repubblica.

Nella conclusione, infatti, dice:
    “Dai due cicli di consultazioni da me tenuti - senza perdere nemmeno un giorno dopo l'insediamento delle nuove Camere - tra il 20 e il 30 marzo, è risultato chiaramente che solo da scelte di collaborazione che spetta alle forze politiche compiere, segnandone i termini e i confini, può scaturire la formazione del nuovo governo di cui il paese ha urgente bisogno. Essa non poteva dunque nascere per impulso del Presidente della Repubblica uscente ripercorrendo un sentiero analogo a quello battuto con successo nel novembre del 2011. La parola e le decisioni toccano alle forze politiche, e starà al mio successore trarne le conclusioni.”

Quando è stato chiaro che non era possibile formare un “Governo Bersani” con uno degli altri due poli presenti in Parlamento, in molti hanno pensato che Napolitano potesse ripetere l'operazione “Governo Monti”, anche se evidentemente la cosa era improponibile per molti motivi.
Il primo, come ha più volte sottolineato lo stesso Presidente, era che un Governo del Presidente c'era già e che questo non era stato sfiduciato; meglio questo che un nuovo incarico a qualcuno che poi avrebbe potuto essere, probabilmente, sfiduciato dalle Camere.
L'altro, ancora più evidente, che un “Governo del Presidente” ha bisogno di avere alle spalle un Presidente per tutto il periodo in cui resta in carica e non uno con pochi giorni ancora di mandato. Il sostituto di Napolitano potrà agire liberamente perché ha una leva a sua disposizione, che il Presidente oggi non ha più: lo scioglimento delle Camere.

La politica in Italia è fatta di tante chiacchiere che alla fine pesano come macigni; tutti i giorni i leader devono dire qualcosa e Napolitano, dopo che Bersani è tornato al Colle per riferire, non poteva lasciare lo spazio vuoto dicendo: “ne riparlerete col mio successore”, né poteva mandare Bersani alle camere a cercare i voti, con la quasi certezza di un flop e trovarsi così, senza poter fare più nulla, con un Governo senza fiducia e senza quel riconoscimento internazionale che il Governo Monti gode tuttora.

Ecco la pensata “I dieci saggi”, che oggi hanno presentato le loro conclusioni. Quello che hanno scritto è sicuramente ovvio ed atteso, ma almeno adesso è nero su bianco, non è proprietà di nessun partito e risulta condiviso. Un passaggio non da poco perché il futuro governo non potrà prescindere da quello che i saggi hanno scritto.

Le due commissioni avrebbero potuto anche svolgere un'altra funzione: quello di permettere il dialogo tra le tre forze politiche (PD, PDL e M5S) che sembrano non parlarsi; questo non è avvenuto specialmente perché Grillo si è ritirato.

Ora ci sarà il passaggio dell'elezione del Presidente della Repubblica e l'attenzione si è concentata oggi su questo. Dopo la formazione del governo potrà procedere ed è fuori di dubbio che occorreranno larghe intese, ma attenzione al significato di questo: non un Governo accozzaglia, com’è stato quello di Monti, ma un Governo che abbia il supporto certo e consistente del Parlamento per svolgere il suo programma, programma che è delineato, negli oggetti su cui deve lavorare, dai documenti dei “10 saggi”. E qui casca l'asino.

Se nel 1976 l'accordo DC – PCI fu possibile perché entrambi i partiti avevano un obiettivo comune per salvare il paese, qui è veramente difficile trovare la stessa uniformità di obiettivi. Berlusconi ha come obiettivo salvarsi dalla “persecuzione delle toghe”, rosse ovviamente; i suoi alleati, politici di vecchio corso, hanno quello di salvare le loro prerogative e non sono disponibili a nessun accordo che non soddisfi questi loro obiettivi. Non dimentichiamoci quale è stato il loro comportamento: frenare l'azione del Governo Monti sulle riforme e farlo cadere quando stavano arrivando a sentenza i processi di Berlusconi. Un diavoletto mi suggerisce che quei processi sono stati congelati dalle elezioni e forse è proprio ad altre elezioni che il Cavaliere pensa, in cui potrebbe magari vincere e tornare a palazzo Chigi.

Un accordo sulle riforme in teoria sarebbe invece possibile tra PD e il Movimento 5 Stelle, perché sulle riforme c'è una buona parte di posizioni comuni, ma Grillo non vuole e, appena si accenna a questo, urla e strilla come solo lui sa fare. C'è da pensare che il suo obiettivo non sia quello di riformare lo Stato, ma di sfasciarlo per fare poi posto ad un “salvatore”. La mia impressione è che dietro tutto questo ci siano, nell'ombra gli stessi gruppi di potere che hanno appoggiato Berlusconi e che ora non si fidano più dell'uomo di Arcore, in evidente declino politico. Questo spiegherebbe per benino le improvvise sterzate che Grillo fa e il suo niet a qualunque apertura, ma... non sembra che tutti i suoi pulcini la pensino nello stesso modo. Quando sarà il momento di scegliere se ubbidire a Grillo e tornare a casa senza aver concluso nulla o mollare Grillo e agire col PD, penso che un numero consistente opterà per la seconda soluzione.

La cosa più fastidiosa è invece l'ennesima faida all'interno del PD tra Renzi e gli altri. Renzi non tiene minimamente conto che la base del PD con le primarie ha bocciato la sua linea e questo vuol dire che, se in un prossimo futuro dovesse risultare vincente la sua linea, una bella fetta dell'attuale elettorato del PD andrebbe a votare qualcuno che non strizzi l'occhio al centro o peggio alla destra.

Ora l'unica speranza, debole se vogliamo, è che, dopo l'elezione del Presidente della Repubblica, Bersani (o un altro) possa trovare una maggioranza stabile per fare le riforme necessarie. Ancora una sola considerazione: per fare quelle riforme, che sono segnate dai “10 saggi” come necessarie, non basta un anno, ce ne vogliono almeno tre, ma per cambiare la legge elettorale non c'è bisogno di tanto, forse una settimana; è, infatti, sufficiente approvare una legge che abroga la “porcata” di Calderoli e rimette in vigore il “mattarellum”. Una legge talmente semplice che non avrebbe bisogno nemmeno di passare nelle commissioni; ma nessuno, nemmeno i grillini, l'hanno presentata e allora si dimostra, se mai ce ne fosse la necessità, che tutti chiacchierano, ma nessuno fa.

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