« God has given us earth, and we have ignored it. »
« Dio ci ha dato la terra, e noi l’abbiamo ignorata. »
Walter De Maria
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Richard Long - Untitled, 2010
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Alleatasi alla tecnologia, a partire dal secolo scorso, l’
hybris - la superbia, la vanitas umana - ha conosciuto un’accelerazione storica esponenziale, profonda, velocissima. Da una parte un grande, apparente progresso: come industrializzazione, benessere, nuove prospettive di vita. Ma, dall’altra, una complicazione, un paradosso: poiché, come ogni medaglia, anche questo enorme, fragile progresso, ha sviluppato due facce, portando con sé i gravi problemi legati all’ecologia e all’inquinamento. A partire dalla seconda metà del Novecento, un gruppo di artisti, autonomi e diversi – a fronte di tanta frenesia ed eccessiva astrazione e virtualità - più di altri, ha sentito forte il ritorno alle origini, il ritorno alla natura: l’esigenza della ripresa del contatto diretto, semplice, immediato con la terra, l’acqua, gli alberi, le pietre, le montagne, le nuvole, i campi.
La riscoperta di una certa calma e lentezza; l’elogio della contemplazione: l’accarezzare una corteccia, il profumo di una zolla, gli arabeschi dell’erba, le trasparenze di un ruscello, i cristalli del ghiaccio, il lontano canto delle nuvole.
In questo senso, questi artisti, hanno dedicato molta parte del loro lavoro al ritorno alla terra.
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Giuseppe Penone - Untitled, 1999
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Biasiucci con i suoi drammatici crateri vulcanici; Burri con i suoi famosi ed elegantissimi Cretti; Calzolari con i suoi sali ispirati al mirabile panneggio dell’Efebo di Mozia; De Lonti con la sua aspra, viva testimonianza delle ferite inferte alla natura dal petrolio; De Maria con le sue concettuali linee disegnate sul deserto; Eliasson con la sovrana malinconia dei suoi frastagliati e gialli orizzonti; Fulton e Long con le loro lunghe e impegnative escursione nel cuore dei paesaggi e delle montagne; Giacomelli con le arate cicatrici delle sue colline; Gohlke con i suoi alberi e rami di seta e cenere; Goldsworthy con i suoi ampi arabeschi di foglie, di neve, di pietre e di terra; Heizer con il suo passionale amore per il deserto; Mangano con le sue laiche e preziose sindoni; Mendieta con l’impronta del suo corpo, già terra e polvere; infine Penone con la continua riscoperta, attraverso gli alberi, i tronchi, le cortecce, dei boschi del suo Appennino Ligure.
Poiché, come scrive Padre Enzo Bianchi nella sua presentazione pubblicata in catalogo :
“ la terra, luogo della vita che continuamente sboccia con alberi, fiori, erbe, foreste; la terra, con i suoi sassi, le sue rocce, le sue crete, con le sue pianure e le sue montagne; questa è l’unica terra che conosciamo e abbiamo, è la terra madre alla quale vogliamo essere fedeli, fino a poter declinare il comando: Ama il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18; Mc 12,31 e par.) in: Ama la terra come te stesso, perché per amare il prossimo con un amore intelligente e autentico occorre amare anche la terra che insieme al prossimo abitiamo”.
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Olafur Eliasson - Jökulsgilskvisl, 2003
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WE LAND
Ama la terra come te stesso
opere di:
Antonio Biasiucci, Alberto Burri, Pierpaolo Calzolari, Daniele De Lonti, Walter De Maria, Olafur Eliasson, Hamish Fulton, Mario Giacomelli, Frank Gohlke, Andy Goldsworthy, Michael Heizer, Richard Long, Tancredi Mangano, Ana Mendieta, Giuseppe Penone
The Lonte T Art Space . via Senato 24, Milano
Inaugurazione Giovedì 29 Ottobre 2015 alle ore 18.30
Dal 30 Ottobre 2015 al 15 Gennaio 2016
Orari dalle 10.00 / 13.00 - 14.00 / 19.00
Dal 10 ottobre 2015 al 31 gennaio 2016
Informazioni: tel 0249786624 info@thelonet.it