|
|||||||||||||||||||||
| |||||||||||||||||||||
Visto per voi Ragionando sulla “Fotografia del No” di Mario Cresci alla GAMeC Le impressioni tratte dalla visita alla mostra, che terminerà il 17 Aprile prossimo Di Giovanni Gelmini
|
|||||||||||||||||||||
Cresci per prima cosa è un artista e per lui la fotografia è un mezzo espressivo come per altri può essere la scultura o altra tecnica. La sua formazione, prima Liceo Artistico e poi, a Venezia, il Corso Superiore di Design Industriale di Venezia, lo porta ad affrontare la fotografia in altro modo dal nostro. Il primo elemento, che è sempre evidente nelle sue foto, è il segno grafico che deve essere perfetto. La mostra ripercorre l’attività di mezzo secolo di Cresci. Inizia dalla sala “Spazio Zero” con qualcosa che sembra non c’entrare con la fotografia, quasi a certificare che Cresci è innanzitutto un artista.
L’unico gesso libero è quello di una Matrona che, casualmente, ha in mano uno specchio riflettente ancora la luce. Il filo conduttore quindi di tutto è la luce che circonda quei gessi che invece, quando Cresci divenne direttore della Carrara erano nel buio.
Sono convinto che l’esperienza di Matera (Cultura materiale, 1967 – 2016) lo segnò profondamente. Quando venne a contatto con una realtà umana per lui completamente nuova, si aprì un campo forse da lui allora inesplorato, ma che percorse con grande capacità, aggiungendo nella foto documentaria di quell’umanità tutta l’esperienza di artista per trasmetterci le forti emozioni che provò. Cresci nel dialogo “Dentro le cose”, fatto con Luca Panaro dice: “Un’antica città, unica nel suo genere in cui ho trovato infinite opportunità di agire al suo interno, usando i mezzi e gli strumenti del lavoro artistico aperto agli altri, alle idee e alle utopie.”
Quello che lui fotografa è spesso alterato, come nella serie dei ritratti (Attraverso l’arte, 1994 – 2015), ma un esempio preciso di un’elaborazione che mostra la non oggettività della fotografia è l’elaborazione di una foto storica del famoso poeta francese Carles Baudelaire, scattata da Etienne Carjat a Parigi nel 1862.
Cresci, infatti, spiega questo lavoro così: “Nella visione d'insieme dell'opera volevo evidenziare la relazione tra le geometrie occasionali causate dalle piegature del foglio e l'interfacciarsi della superficie bianca del retro con quella stampata del fronte. Cosi il volto di Baudelaire appare sempre diverso, quasi mutando espressione attraverso gli spazi lasciati liberi dall'incrociarsi delle pieghe, come a coniugare, attraverso il moltiplicarsi dello sguardo, il dramma della vita tumultuosa del poeta alle astratte geometrie degli spazi frammentati.”
Nell’ultima sala troviamo un complesso lavoro, Metafore, 2013 – 2016, che ha come tema i migranti e necessariamente porta in campo la Pietà, quindi si ricollega, richiamandone le forme, alla Pietà del Rondanini, che Cresci ha esplorato a lungo (Parte del suo lavoro sulla Pietà del Rondanini lo possiamo trovare nella mostra come “Video 2010-2016”). Tre sono i passi percorsi dall’autore guardando la sala da sinistra a destra. Si inizia con un’idea dell’artista, quasi un’installazione da land art. Il racconto di Cresci su questa parte è entusiasmante; ci dice che nel 2013, quando c’è stato un gravissimo incidente in cui morirono circa 300 migranti, si trovava allora ancora ai Giardini Naxos; in spiaggia ha visto i sassi neri di lava e li ha visti come corpi morti. Ha pensato allora di dipingere su di essi, con tempera bianca, delle “V”, come gabbiani che volano, poi si è accorto che quei segni ricordavano le decorazioni che le popolazioni africane fanno sul loro corpo; cioè quest’operazione ha trasformato in paesaggio africano quella spiaggia. Si passa successivamente a una grande foto del mare, che in questo contesto diventa qualcosa che assorbe il dolore e fa da passaggio con le foto successive.
È la foto di un telo termico, elaborato graficamente, usato per proteggere i migranti raccolti non in buono stato e si collega nella grafica stranamente con l’ultima foto delle “V” sui sassi. La foto della coperta termica introduce due rappresentazioni, sempre con quella come tema: due persone, di cui si vedono solo i piedi, sono avvolti dalla “metallica” coltre. Queste immagini richiamano nella forma la Pietà del Rondinini e con questo il ciclo si conclude.
La mostra presenta in modo organico esempi di tutto il lavoro svolto. Difficilmente si poteva fare di più; infatti tutto lo spazio espositivo della GAMeC è occupato. Un consiglio che posso dare, per fruire appieno della mostra, è di leggere attentamente le schede proposte per ogni sala o utilizzare il supporto audio. Penso che solo così si possa comprendere appieno questa complessità veramente difficile, ma, aiutati da queste presentazioni, l’opera di Cresci diventa facile e veramente straordinaria. Non ho trattato tutto il materiale esposto, perché sarebbe diventato un discorso troppo lungo; ho parlato solo di quelle opere che più mi hanno stimolato. Rinvio alla presentazione pubblicata a gennaio la visione completa della Mostra. MARIO CRESCI LA FOTOGRAFIA DEL NO, 1964-2016 GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Via San Tomaso, 53 – Bergamo dal 10 Febbraio al 17 Aprile 2017 Inaugurazione: giovedì 9 febbraio, ore 19:00 Orari d’apertura: Lunedì - domenica ore 10:00-19:00 giovedì: ore 10:00-22:00 martedì chiuso La biglietteria chiude un’ora prima. Biglietto d’ingresso (valido per tutte le mostre in corso) Intero: € 6,00 Ridotto: € 4,00 Scuole: gratuito Biglietto famiglia 1+1: € 7,50 Biglietto famiglia 2+1: € 12,00 Biglietto famiglia 2+2: € 15,00 Tel. + 39 035 270272 www.gamec.it Argomenti: #arte , #arte contemporanea , #bergamo , #cresci , #foto , #fotografia , #gamec , #grafica Leggi tutti gli articoli di Giovanni Gelmini (n° articoli 506) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
|||||||||||||||||||||
© Riproduzione vietata, anche parziale, di tutto il materiale pubblicato Articoli letti 15.276.802 seguici RSS Il sito utilizza cockies solo a fini statistici, non per profilazione. Parti terze potrebero usare cockeis di profilazione |