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Visto per voi

Ragionando sulla “Fotografia del No” di Mario Cresci alla GAMeC

Le impressioni tratte dalla visita alla mostra, che terminerà il 17 Aprile prossimo

Di Giovanni Gelmini

Mario Cresci alla GAMECeC

Prima di iniziare a trattare della mostra, mi sembra necessario capire la spiegazione del titolo della mostra, com’è riportata nella prima scheda posta all’ingresso del percorso:
    Il titolo della mostra, La fotografia del no, si rifà al libro di Goffredo Fofi Il cinema del No. visioni anarchiche della vita e della società (Eleuthera, 2015), che rispecchia in gran parte il pensiero dell'artista riguardo alla fotografia, intesa come mezzo privilegiato, ma non unico, per le sue scelte dl vita e di relazione con gli altri. Per Cresci, infatti, la fotografia e un "atto globale, non circoscrivibile al singolo scatto", che si contamina, diventando argomento di testi e oggetto di docenza, nella ricerca di un dialogo con le giovani generazioni, per lui cruciale.
Dopo aver visitato le prime sale della mostra mi è sorta una domanda: ma che fotografo è Mario Cresci?

Mario Cresci alla GAMECeC

Fuori di dubbio sono altissime le sue capacità d’uso dalla macchina fotografica, ma per chiarire la domanda devo rifarmi a quando ho iniziato a fotografare, qualche anno prima di Cresci. Allora imperava la “fotografia artistica”, ma io sono stato attratto da un altro tipo di fotografia, quella che descriveva ciò che vedevamo: l’uomo, la società, l’ambiente. Il nostro maestro era Cartier Bresson e il più vicino Gianni Bergengo Gardin. Si evitavano mistificazioni, ma eravamo ben consapevoli che la fotografia non è mai oggettiva. Un soggetto inquadrato da due persone diverse assume significati diversi perché il taglio fotografico cambia.

Mario Cresci alla GAMECeC

Credo che con Cresci questo sia assolutamente evidente e lui ne è perfettamente consapevole; quindi lavora perché sia trasmesso con il suo manufatto fotografico il messaggio che lui vuole.
Cresci per prima cosa è un artista e per lui la fotografia è un mezzo espressivo come per altri può essere la scultura o altra tecnica. La sua formazione, prima Liceo Artistico e poi, a Venezia, il Corso Superiore di Design Industriale di Venezia, lo porta ad affrontare la fotografia in altro modo dal nostro. Il primo elemento, che è sempre evidente nelle sue foto, è il segno grafico che deve essere perfetto.

La mostra ripercorre l’attività di mezzo secolo di Cresci.

Inizia dalla sala “Spazio Zero” con qualcosa che sembra non c’entrare con la fotografia, quasi a certificare che Cresci è innanzitutto un artista.

 
La storia dei gessi

Molto aspra fu la polemica lanciata da un quotidiano locale negli anni Novanta sull'incuria in cui versava la gipsoteca dell'Accademia di Belle Arti, con l'attribuzione a Cresci di ogni responsabilità. L’incuria veniva da lontano, ma certo la rimozione dalle aule dei gessi storici, che rappresentavano una modalità d'insegnamento non più in uso, scatenò il finimondo. Cresci in un'istallazione del 1996 al Teatro Sociale, gioiello neoclassico in Bergamo Alta, metteva in scena, in tutta la loro nobiltà, i gessi della scuola e proprio da qui ha voluto ripartire con una reinterpretazione di Opus Gypsicum nello spazio progetti della Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea
Dal testo di Maria Cristina Rodeschini, nel catalogo della mostra

Nella sala troviamo un’installazione in cui tutto è bianco accecante, bianco il pavimento, bianco il soffitto, bianche le pareti, bianchi i gessi storici dell’Accademia Carrara, tutti ancora sui pallets e “contenuti tra stecche di legno, quelle che nel deposito servono a proteggerli, disposti però in vario modo dall’artista.

L’unico gesso libero è quello di una Matrona che, casualmente, ha in mano uno specchio riflettente ancora la luce. Il filo conduttore quindi di tutto è la luce che circonda quei gessi che invece, quando Cresci divenne direttore della Carrara erano nel buio.


 

Mario Cresci alla GAMECeC, "Alterazione del quadrato" ispisrato al "black square" di Malevich

Si parte dai primi lavori di elaborazione grafica (Geometrie, 1964 – 2011); significative elaborazioni che sono certamente i punti di partenza per Cresci fotografo, elementi che entreranno in continuazione nella sua opera, quindi molto importanti, ma che difficilmente emozionano; invece Cresci vive di emozioni che trasmette.

Sono convinto che l’esperienza di Matera (Cultura materiale, 1967 – 2016) lo segnò profondamente. Quando venne a contatto con una realtà umana per lui completamente nuova, si aprì un campo forse da lui allora inesplorato, ma che percorse con grande capacità, aggiungendo nella foto documentaria di quell’umanità tutta l’esperienza di artista per trasmetterci le forti emozioni che provò.

Cresci nel dialogo “Dentro le cose”, fatto con Luca Panaro dice: “Un’antica città, unica nel suo genere in cui ho trovato infinite opportunità di agire al suo interno, usando i mezzi e gli strumenti del lavoro artistico aperto agli altri, alle idee e alle utopie.

Vedendole mi sono ricordato delle foto fatte da Marion Post Wolcott, Jack Delano, Russell Lee, Walker Evans, Ben Shahn, e Dorothea Lange, incaricati, nell’ambito delle politiche del New Deal dalla United States Farm Security Administration, nel 1935 di indagare su cosa ci fosse nelle farm americane, esattamente come Cresci fu incaricato di studiare la realtà abitativa di Tricarico per il piano urbanistico. Mario Cresci affronta in modo diverso quella realtà umana perché resta un artista, senza per questo dimenticare l’obbligo di documentare.

Mario Cresci,Fuori tempo #03, Bergamo 2008 stampa giclée cm 138,4 x 108,4

Nella sua opera vuole spesso dimostrare che anche la fotografia non è oggettiva, ma soggettiva. Direi che è soggettiva due volte, la prima perché il fotografo, con la scelta del taglio e delle luci, modifica l’oggetto fotografato, ma poi anche chi vede l’immagine la vede con la sua soggettività, dando importanza a particolari diversi e interpretandola a proprio modo.
Quello che lui fotografa è spesso alterato, come nella serie dei ritratti (Attraverso l’arte, 1994 – 2015), ma un esempio preciso di un’elaborazione che mostra la non oggettività della fotografia è l’elaborazione di una foto storica del famoso poeta francese Carles Baudelaire, scattata da Etienne Carjat a Parigi nel 1862.


 

Mario Cresci alla GAMeC,I Rivolti,Charles Baudelaire, 2013

Cresci la rielabora in 46 modi diversi, piegandola in vari modi, perfino accartocciandola (I Rivolti, Charles Baudelaire -2013) è il massimo della dimostrazione della non oggettività della fotografia legandolo ad una idea importante di rappresentazione di Baudelaire.
Cresci, infatti, spiega questo lavoro così: “Nella visione d'insieme dell'opera volevo evidenziare la relazione tra le geometrie occasionali causate dalle piegature del foglio e l'interfacciarsi della superficie bianca del retro con quella stampata del fronte. Cosi il volto di Baudelaire appare sempre diverso, quasi mutando espressione attraverso gli spazi lasciati liberi dall'incrociarsi delle pieghe, come a coniugare, attraverso il moltiplicarsi dello sguardo, il dramma della vita tumultuosa del poeta alle astratte geometrie degli spazi frammentati.”

Mario Cresci,I Rivolti,Charles Baudelaire, 2013


 

Mario Cresci, La casa di Annita in Transizioni, 1966 – 2015 stampa giclée cm 138,4 x 108,4

Credo che il massimo della sua comunicazione emotiva sia raccolto nella sala dedicata a “Transizioni, 1966 – 2015”. “La casa di Annita” mi ha molto impressionato. Un rigore grafico perfetto si associa a oggetti strettamente legati al passato di una famiglia: potrebbero essere le cose che ho trovato smontando la casa dei miei genitori dopo la loro morte, cose note o cose mai viste, ma che destano un fortissimo legame emotivo e che nella mia lettura oggettiva delle immagini si caricano di forti significati. Un’esperienza che credo sia capitata a tutti e che qui è espressa in modo esemplare.

Nell’ultima sala troviamo un complesso lavoro, Metafore, 2013 – 2016, che ha come tema i migranti e necessariamente porta in campo la Pietà, quindi si ricollega, richiamandone le forme, alla Pietà del Rondanini, che Cresci ha esplorato a lungo (Parte del suo lavoro sulla Pietà del Rondanini lo possiamo trovare nella mostra come “Video 2010-2016”).

Tre sono i passi percorsi dall’autore guardando la sala da sinistra a destra.
Si inizia con un’idea dell’artista, quasi un’installazione da land art.

Il racconto di Cresci su questa parte è entusiasmante; ci dice che nel 2013, quando c’è stato un gravissimo incidente in cui morirono circa 300 migranti, si trovava allora ancora ai Giardini Naxos; in spiaggia ha visto i sassi neri di lava e li ha visti come corpi morti.
Ha pensato allora di dipingere su di essi, con tempera bianca, delle “V”, come gabbiani che volano, poi si è accorto che quei segni ricordavano le decorazioni che le popolazioni africane fanno sul loro corpo; cioè quest’operazione ha trasformato in paesaggio africano quella spiaggia.

Si passa successivamente a una grande foto del mare, che in questo contesto diventa qualcosa che assorbe il dolore e fa da passaggio con le foto successive.
 

Mario Cresci,in Metafore, 2013 – 2016

A fianco del mare una foto strana, quasi un muro nero. Cosa è?
È la foto di un telo termico, elaborato graficamente, usato per proteggere i migranti raccolti non in buono stato e si collega nella grafica stranamente con l’ultima foto delle “V” sui sassi. La foto della coperta termica introduce due rappresentazioni, sempre con quella come tema: due persone, di cui si vedono solo i piedi, sono avvolti dalla “metallica” coltre. Queste immagini richiamano nella forma la Pietà del Rondinini e con questo il ciclo si conclude.

Mario Cresci alla GAMeC,in Metafore, 2013 – 2016

Il lavoro di Cresci è molto complesso, quello passato ritorna in quello che realizza successivamente, dando una continuità al pensiero dell’artista.
La mostra presenta in modo organico esempi di tutto il lavoro svolto. Difficilmente si poteva fare di più; infatti tutto lo spazio espositivo della GAMeC è occupato.
Un consiglio che posso dare, per fruire appieno della mostra, è di leggere attentamente le schede proposte per ogni sala o utilizzare il supporto audio. Penso che solo così si possa comprendere appieno questa complessità veramente difficile, ma, aiutati da queste presentazioni, l’opera di Cresci diventa facile e veramente straordinaria.


Non ho trattato tutto il materiale esposto, perché sarebbe diventato un discorso troppo lungo; ho parlato solo di quelle opere che più mi hanno stimolato. Rinvio alla presentazione pubblicata a gennaio la visione completa della Mostra.


MARIO CRESCI LA FOTOGRAFIA DEL NO, 1964-2016
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Via San Tomaso, 53 – Bergamo

dal 10 Febbraio al 17 Aprile 2017
Inaugurazione: giovedì 9 febbraio, ore 19:00

Orari d’apertura: Lunedì - domenica ore 10:00-19:00
giovedì: ore 10:00-22:00
martedì chiuso
La biglietteria chiude un’ora prima.

Biglietto d’ingresso (valido per tutte le mostre in corso)
Intero: € 6,00
Ridotto: € 4,00
Scuole: gratuito
Biglietto famiglia 1+1: € 7,50
Biglietto famiglia 2+1: € 12,00
Biglietto famiglia 2+2: € 15,00

Tel. + 39 035 270272
www.gamec.it



Argomenti:   #arte ,        #arte contemporanea ,        #bergamo ,        #cresci ,        #foto ,        #fotografia ,        #gamec ,        #grafica



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