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Breve storia del Castello di San Vigilio, detto anche Cappella, e della Bàstia

Tratto quasi integralmente da un libricino di Angelo Mazzi, pubblicato a Bergamo nel 1913

Di Giovanni Gelmini

Nel riordinare la mia biblioteca mi sono ritrovato in mano un libricino ereditato, cui non avevo mai dato peso; penso fosse di mio nonno.
Eccolo, un libricino sottile con la copertina rovinata e staccata dal corpo del libro, pubblicato nel 1913. Mi sono soffermato sul titolo: “Il Castello e Bàstia di Bergamo”.
Quante volte ho visto il Castello e quante volte sono stato sulla Bàstia, la collina vicina che sovrasta tutto e per questo è chiamata anche la Vetta, ma, in effetti, non so quasi nulla di loro, se non il poco raccontatomi da mio padre. Forse i suoi racconti vengono proprio da questo libretto.

L’autore si chiama Angelo Mazzi, nome che mi suona familiare: la scuola media che ho frequentato era intestata a lui; ma chi era?
Cerco e oggi Wikipedia risponde: bibliotecario della Biblioteca Angelo Mai, quella che conserva tutti i documenti storici di Bergamo.
Ragionamento veloce: se lui era il bibliotecario certo, quando ha scritto questo saggio, ha avuto modo di conoscere tutto quello che è conservato nella biblioteca e consultarlo; d’altra parte su 28 pagine di testo ci sono ben 7 pagine di bibliografia e note. Ho anche cercato se ci fosse qualcosa di più recente, ma l’unico libro che parla esclusivamente del Castello di San Vigilio sembra essere questo.
Ho consultato “Storia di Bergamo e dei bergamaschi”di Bortolo Belotti, e anche questo storico fa riferimento al mio ritrovato libricino. Allora inizio a leggerlo.

Il secondo paragrafo mi conferma l’idea che questo sia la summa di quanto si conosce e che sia la fonte di quello che mio padre mi ha raccontato:

    Data la posizione, la storia del Castello dovrebbe essere quasi la storia della città; ma è tale la deficenza dei documenti, che per lungo corso di secoli a noi è appena concesso di intravvedere questo nesso. Quando in epoche assai remote il primo nucleo della città nostra si allargò verso ponente, così da abbracciare nella sua cerchia l'altura oggidì del Seminario, certo non si potè a meno di avvertire, come quel centro di vita restasse dominato dal colle ora designato dalla chiesuola di S. Vigilio, e verisimilmente sulla vetta di questo fin d'allora a maggiore sicurezza della sottoposta città sorse il primo fortilizio, il cui ricordo giunse fino a noi col distinto nome di « Castellum».


Non vi furono problemi per secoli e la città di Bergamo, racchiusa nelle sue mura romane viveva in pace, “…ma quando la sede dell'impero fu posta a Milano e più quando i barbari cominciarono a rumoreggiare paurosi ai confini, febbrilmente si seguono i prescritti imperiali ai presidi delle provincie, perché abbiano ad obbligare le città loro sottoposte a provvedere alle loro fortificazioni, rialzandole, se cadute, ristorandole, se malandate per l'opera edace del tempo”, così scrive il Mazzi.

Ci ricorda anche le lotte che dilaniarono l’Italia tra Berengario e Guido da Spoleto per la corona di Re d’Italia, dopo la deposizione, avvenuta nell’ottobre del 887, di Carlo il Grosso, ultimo imperatore della dinastia carolingia. Queste lotte causarono gravi danni alla città di Bergamo “La città, contro la quale vennero indirizzati gli assalti, non potè resistere a lungo, perché, sebbene ancora in principio del secolo XII una sottilissima costa la separasse dall'altura ove sorgeva il castello, nulla meno la cattedrale di S. Alessandro ed i circostanti edifici renderono facili gli approcci, onde le mura già vecchie, battute in mille maniere da questo lato, diroccarono, ed apertosi il varco a quella barbara turba sitibonda di sangue e di preda, non vi fu eccesso a cui non si abbandonasse”.

È a seguito di queste distruzioni che troviamo la prima notizia dell’esistenza del Castello, infatti, il Mazzi scrive: “Proprio dal “Bergomense Castello Arnolfo - il vescovo scomunicato di Bergamo - datò il suo diploma del febbraio 894, col quale donava alla cattedrale di S. Vincenzo i beni confiscati al chierico Gotefrido” e prosegue “Sembrerebbe dal particolare favore, col quale furono trattati i canonici di S. Vincenzo, che questi si fossero mantenuti fedeli alla corona di Berengario, mentre il vescovo e quelli di S. Alessandro avessero aderito al suo antagonista”.

Lotte intestine all’interno della città che proseguirono per secoli.
Conseguenza di queste lotte fu che il Castello, dove Arnolfo si era barricato, venne abbattuto, secondo la consuetudine di abbattere le fortificazioni che avevano reso difficile vincere.
Nelle vicinanze del Castello vi era una Cappella dedicata a Santa Maria Maddalena e dopo l’abbattimento, la proprietà delle terre, su cui sorgeva il Castello, passò a questa cappella, di cui oggi si è dimenticata l’esistenza. Così, scomparso il Castello, il luogo iniziò ad essere denominato Cappella, nome che restò per molti secoli.

Il Castello verso ponente come è oggi, con l’ampia visione della pianura

Che il castello non ci fosse più ne abbiamo la certezza in un atto ufficiale del 1167.
Quelli sono gli anni della Lega Lombarda contro il Barbarossa. Le mura della città erano state sistemate ed allargate per comprendere i nuovi abitati, ma “Era sulla incombente vetta del S. Vigilio, che manifestatasi il pericolo; e forse il ricordo non ancora spento di Arnolfo faceva sentire più impellente la necessità di un provvedimento”.

Il Castello ricostruito venne mantenuto come scrive il Mazzi “Ma se il Comune non permise più, che il nostro fortilizio avesse a cadere in rovina, tanto maggior cura n'ebbero le Signorie, che gli tennero dietro, perché se serviva alla difesa della città, era anche un sicuro freno agli umori dei cittadini.”

Il Castello oggi, all’interno di un torrione

Nel 1331 la città “credette di trovare un po' di quiete in quella figura da parata, che era Giovanni di Boemia” e tra i provvedimenti presi in quella occasione ci fu la costruzione di un altro fortilizio, che noi possiamo ancora oggi ammirare, La Rocca; ma già un anno dopo “Azzone Visconti nel settembre del 1332 si impadronì colla forza della città nostra” e della Cappella, come allora veniva chiamato il castello. All’inizio del 1400 però la troviamo nelle mani di Giovanni Suardo e poi di Pandolfo Malatesta.

Nel 1419 Filippo Maria Visconti diede ordine al Carmagnola di riconquistare Bergamo e questi per prima cosa si assicurò il possesso della Cappella, da cui bombardò la città e la ridusse alla resa, ma la cosa durò poco perché nel 1428 arrivarono i Veneziani. Questi si resero subito conto dell’importanza strategica del fortilizio e decisero di allargarlo sul lato d'oriente (verso la Città); ma la prima pietra delle opere venne posta solo il 26 marzo del 1487 perché la città e il territorio, ai quali toccavano due terzi della spesa, nicchiavano.

Il Castello - planimetria attuale

"Disfatto l'esercito veneto presso Agnadello nel maggio del 1509, la città si diede ai Francesi. Solo la Cappella, ove si era ritirato il Provveditore veneto, tenne duro; ma, battuta dalle artiglierie per un giorno intero e tradita anche per denari da un conestabile bresciano, dovette scendere a patti e fu subito occupata."

Quando nel 1512 i Veneziani tornarono a Bergamo furono i Francesi, questa volta, a trovare scampo nella “Cappella” e da lì bombardarono la città, senza fare grandi danni, ma tenendo in ogni caso in scacco la città. Il provveditore Bartolomeo Mosto avrebbe voluto venirne a fine con questa continuata minaccia, ma solo il 28 ottobre si giunse a degli accordi.

Il Castello oggi, il giardino con la grata della cisterna d'acqua piovana

La riunione di Bergamo alla Repubblica Veneta ebbe una breve durata, poiché il 23 giugno del 1513 giunsero gli Spagnoli e il provveditore Bartolomeo Mosto si rinchiuse in quel forte. E cosi ancora una volta il Castello ospitò chi aveva perso la città.

Nel 1515 gli spagnoli abbandonarono la Città, ma anche in questo caso lasciarono nella Cappella un loro castellano. Tornarono cosi i Veneziani, anche se la Cappella rimase spagnola ancora per molti mesi e la resa venne solo nel gennaio dell’anno successivo. Quando gli spagnoli lasciarono la Cappella questa risultò “ruinata”. I Veneziani, come da tradizione, ordinarono la demolizione, ma il fortilizio non venne né demolito, né riparato, così, all’avvicinarsi delle milizie alemanne di Massimiliano, il 1° Aprile 1528 il Provveditore di Venezia scappò a Crema.

Il Castello oggi, allargamenti successivi a oriente

Ora c'è anche un personaggio rapace: Giangiacomo de' Medici detto il Medeghino, che fu mandato nelle valli bergamasche per farle sollevare. Questo personaggio pensò di diventare signore di Bergamo e per questo adocchiò la fortezza della Cappella abbandonata come punto per controllare l’accesso alla valle Brembana e sulla Città, quando invece i Veneziani non avevano dato importanza alla fortezza.

Ora i Veneziani decisero la fortificazione della Città con la costruzione delle Mura Venete, oggi dichiarate Patrimonio dell’Umanità, ma anche in questo caso sembra che lo Sforza Pallavicino non ritenesse importante rafforzare la Cappella e si limitò a piccoli interventi.

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Il Castello oggi, accesso a un sotterraneo

Resta il fatto che da allora Bergamo non fu più oggetto di conflitti e quindi la storia del “Castello” o della “Cappella”, che dir si voglia, finisce qui.

Il Mazzi smentisce anche la diceria che fosse stata usata per prigionieri politici, riportando un solo caso che possa essere qualificato come tale, quello dell’ex gesuita Luigi Mozzi, che vi rimase rinchiuso quindici giorni nell'aprile del 1797.

Oggi noi siamo abituati a considerare tre fortezze in Bergamo: la Rocca, la Cittadella e infine il Castello, ma ce n’è stata una quarta che ha anche lasciato il nome al luogo dove sorgeva, anche se oggi non ce n’è più traccia. Si tratta della Bàstia detta anche La Vetta, perché è la più alta del complesso collinare di Bergamo.

Il colle in effetti si chiamava Monte Miliono e incombeva sulla struttura del Castello.
Il Mazzi lamenta la mancanza di notizie, però ricorda che nel 1373 le nostre Valli, specialmente quella di S. Martino, erano in ribellione contro Barnabò Visconti e c’era il duca di Savoia che si era appostato nel milanese e aveva gettato un ponte sull’Adda, a Brivio, per poter superare il fiume e collegarsi col Legato Pontificio, che era nel bresciano con i ribelli di quella città.
 

La Bastia, vista dal Castello

Bergamo si trovava a metà strada tra le due formazioni e quindi interessata dall’eventuale collegamento tra i due eserciti. Era quindi vitale mantenere i contatti con i due castelli (Carvico e Mapello) rimasti fedeli al Visconti, contatti che si realizzavano “con «stoppini» e lumiere”.

Non v'era luogo migliore della vetta del Monte Miliono, che rispondesse a questo scopo anche per la sua vicinanza alla città, ove poteva esser tosto trasmesso ogni avviso; ed Ambrogio vi fece appunto innalzare una «bastia», la cui fossa era compita il 2 maggio, se in quel giorno erasi dato pane e vino a chi dovette collaudarla
    Cosi venne realizzato questo bastione, non si sa se in legno o muratura, e diede il nome al luogo Bastia, ma con l’accento sulla “a”. Ancora oggi si chiama così.


Tutte le citazioni, messe tra virgolette o in periodi rientrati sono tratte da: Angelo Mazzi, Il Castello e la Bàstia di Bergamo, Per la Festa del Natale Di Roma, Comitato di Bergamo della Dante Alighieri 21 Aprile 1913, Istituto Italiano D'arti Grafiche
Il libro è stato donato alla biblioteca della Fondazione Bergamo nella Storia e sarà consultabile dopo la catalogazione.



Argomenti:   #bastia ,        #bergamo ,        #san vigilio ,        #storia



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