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Il Novecento tra storia e cinema Considerazioni dalla conferenza di Peppino Ortoleva e Davide Ferrario del 3 Febbraio 2018 Di Giovanni Gelmini
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chi volesse seguire la conferenza lo può
fare qui
Argomento quanto mai interessante, specialmente per me che non apprezzo il cinema, anzi sento un senso di disagio quando lo devo vedere. Mi scuseranno i lettori se dico cose che loro non condividono, ma questo è il mio pensiero, non nato dal caso o dalla voglia di dire qualcosa di diverso.
Prima la parola, poi pittura e scultura sono state macchine del tempo formidabili, arrivate fino ad oggi; difficilmente conosceremmo la storia del passato se non ci fossero state, ma nessuna di esse è stata istantanea e indipendente dal suo creatore. Tutte hanno avuto bisogno di qualcuno che operasse per creare; questo chiaramente rende queste testimonianze molto soggette all’idea che il loro autore aveva della realtà e a quello che voleva trasmettere. Il lavoro dello storico è proprio quello di ricostruire la realtà analizzando i documenti pervenuti, confrontandoli e cogliendo le parti anacronistiche o difficilmente reali. Nell’800 nasce la fotografia e Ortoleva rileva: “La fotografia che è una macchina vera e propria che coglie il momento, l’istante; è un pezzo di mondo o una riproduzione del mondo, ma c’è una novità: la macchina può fare cose che il fotografo non si attendeva.” La volta scorsa avevamo già visto come la fotografia non si possa prendere in assoluto come “vera”, ma che va letta e interpretata come qualunque documento storico, ma rispetto a quelli precedenti (parola, pittura, scultura) ha quella indipendenza dal suo operatore che a volte, per lo storico, diventa verità. Il soggetto può non essere vero, ma il contorno, l’ambiente in cui la foto è scattata sì, e così la foto di una persona, ormai dimenticata, in posa artefatta, mostra luoghi e abitudini che sono veri e aiutano lo storico a collocare la verità. Ortoleva ricorda come alcune immagini riprodotte molte volte diventano simboli, come il recentissimo bambino siriano morto sulla spiaggia o, negli anni della guerra del Vietnam, la bambina nuda che fugge dal Napalm e, aggiungo, “Miliziano colpito a morte” di Capa nel ’36. Immagini sicuramente fortemente emotive e che hanno ben descritto un’emozione legata a avvenimenti reali, ma spesso, proprio per il loro perfetto adattarsi ad una immagine della realtà, sono costruite, non vere, anche se rappresentano un “pensiero” vero. Della fotografia abbiamo parlato già nel precedente articolo; arriviamo ora al cinema che deriva dalla fotografia come tecnologia, ma che ha una struttura comunicativa e di realizzazione completamente diversa.
Immagini, suoni e messa in scena, cioè “il montaggio” la connessione tra le immagini creano il film. Questa connessione fornisce la trasmissione del pensiero del regista, che risulta completamente autonoma dalla realtà sottostante e dai singoli componenti usati. È quindi una “verità” indipendente che agisce connettendosi ai nostri ricordi, alle nostre esperienze. Quello che intendo è stato indicato proprio da Ortoleva:
È la rappresentazione del pensiero del regista: una verità, non La Verità quindi. I documentari dell’Istituto luce che rappresentano le cose come se fosse la verità rilevata, ma non era vero.” Ora credo che sia ben chiaro quale può essere il rapporto tra chi studia storia e il cinema; ha solo un ruolo di narrazione di una realtà come l’ha voluta il narratore, importante di certo, ma da prendere con le dovute cautele. Nello stesso tempo mi sono chiarito perché il cinema non mi attira. Quando si vede un film ci si trova in un ruolo passivo, con lo sguardo fisso sullo schermo, ci si deve lasciare penetrare dalla rappresentazione voluta dal regista, che muove in noi emozioni a suo piacimento; non possiamo interrompere per ragionare, né soffermarci su particolari della messa in scena. È questo che a me non piace a mi fa sollevare un muro di protezione. Un altro punto che sarebbe interessante approfondire è il rapporto tra tecnologia e cultura. Secondo entrambi i relatori è un rapporto inseparabile e questo mi consola perché la penso anch’io così, ma cosa ne pensano tanti umanisti che vedono la tecnologia come un qualcosa che danneggia la cultura? Mi piacerebbe in un prossimo futuro affrontare questo argomento dalle mille sfaccettature Gli altri articoli: 15/12/2017 12:46:49 Riflessioni sulla lezione di Mario Isnenghi “Racconti sociali e narrazioni inceppate” La lezione è stata tenuta a Bergamo il 30 Novembre 2017, prima del ciclo “Novecento in dialogo. Raccontare la storia del XX secolo: fotografia, cinema, tradizione orale, letteratura", organizzato dal Museo delle storie di Bergamo Impagabile la lezione di storia vera tenuta dal Professor Mario Isnenghi. Chi si aspettava che parlasse di un evento storico, magari la Prima Guerra Mondiale, oggi argomento molto gettonato, forse all’inizio sarà rimasto deluso, ma il professore ............ 16/01/2018 17:27:50 Il Novecento tra storia e fotografia A volte, quando un intoppo cambia il programma dell’evento, esce qualcosa di imprevisto che è altrettanto interessante o addirittura migliore, come è successo negli anni ’60 per un concerto di Giorgio Gaslini con Gioventù Musicale o come è successo giovedì 11 scorso, alla lezione di “Novecento in Dialogo”, in cui ............ Argomenti: #bergamo , #cinema , #conferenza , #ferrario , #ortoleva Leggi tutti gli articoli di Giovanni Gelmini (n° articoli 506) il caricamento della pagina potrebbe impiegare tempo |
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