Ci sono cose e persone che non si dimenticano, anche se si è restati con loro solo poco tempo.
È il caso che mi è capitato con una giovane e attraente ragazza, nominata istantaneamente dalla compagnia “La Poiana”, un segreto nomignolo solo perché con capelli nerissimi, sopracciglia nere e vestito tutto nero.
Eravamo in vacanza al Rifugio Coca, quando è arrivata una compagnia di ragazze. Noi eravamo solo ragazzi e facilmente facemmo comunella con loro.
Oltre al rifugista, nel rifugio c’eravamo soli noi. Così alla sera ci propose di andare dai guardiani della diga del Barbellino, dall’altra parte di uno sperone roccioso.
” Come? – rispondemmo in coro - Ma solo con la luna che c’illumina il cammino, un cammino di più di tre ore con dislivelli notevoli: impossibile!”
Il rifugista ci spiegò che c’era la scorciatoia sotto la montagna, una galleria che arrivava diretta da poco sotto il rifugio alla casa dei guardiani, a piedi una camminata ti una mezz’oretta. Per chi voleva c’era il carrello sulle rotaie, con quello in pochissimo tempo, ma non più di due persone più lui che lo avrebbe azionato
Subito pronti al volo giacche a vento e pile al seguito, entusiasmo e via!
I giovanottii si auto esclusero dall’uso del carrello, ma tra le ragazze, Poiana si affiancò a me a piedi.
Il carrello partì sferragliando verso la destinazione finale con il rifugista e le
altre fanciulle; noi ridendo e scherzando iniziammo il tragitto camminando in mezzo tra le rotaie.
Poiana sempre vicino a me; iniziammo a chiacchierare. Ci raccontammo di tutto per conoscerci.
Quando arrivammo alla casa dei custodi della diga eravamo ormai intimi.
I custodi della diga ci accolsero calorosamente. Entrammo e ci sedemmo nella sala da pranzo sulle panche attorno ad un grande tavolo. Ci offrirono pane e salame con scodelle di vinbrulè, e così partirono le chiacchere, sempre animate. Poiana seduta a fianco a me; ormai eravamo una coppia affiatata e si interloquiva come avessimo vissuto sempre insieme.
Le ore passarono e venne il momento di lasciare la bella compagnia. Ci avviammo verso la galleria e noi restammo chissà perché per ultimi. Abbracciati avanzavamo, qualche passo e un bacio, poi accelerata per non perdere il contatto col gruppo.
Usciti dalla galleria, un attimo di intimità prima di rientrare nel rifugio, un bacio molto ma molto profondo.
Al mattino mi aspettava la scalata alla vetta del Pizzo Coca, che con i suoi 3050 m. è la vetta più alta delle Alpi Orobie; quindi saluto veloce e subito a nanna per potersi svegliare presto e riposati.
Sveglia all’alba, le fanciulle, compresa Poiana, dormivano ancora. Colazione leggera e poi partimmo, senza poterla rivedere.
Nell’ascesa al Pizzo la mia attenzione si concentrò sulla difficoltà della roccia friabilissima, poi sulla vetta la vista immensa sull’anfiteatro delle Alpi portò nuovamente il desiderio di Poiana al mio fianco; chissà cosa stava facendo.
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Panorama a 360° dalla vetta del Pizzo Coca realizzato con foto fatte quel giorno
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Poi la discesa; dopo la bocchetta dei Camosci, il nostro “capo” ci invitò a scendere da un canalino con un salto al buio; lo seguimmo, certo con un po’ di esitazione, e ci trovammo alla cima di un ghiaione che con un dislivello di circa 800 m finiva nel Lago di Coca: una discesa rapida ed emozionante per chi aveva caviglie salde come noi!
Giù a salti, come con gli sci, in discesa traversale a larghe curve, con l’attenzione di saltare più veloci dei sassi. E in questa goduria atletica ripartì il pensiero verso Poiana, chissà cosa faceva, mi aspettava?
L’arrivo al rifugio mi offrì una vera delusione; le fanciulle erano già scese a valle e di Poiana più nessuna traccia se non la foto che avevo scattato.
Mai più rivista, ma mi è sempre rimasta nella memoria.
Chissà cosa sarebbe successo se fossi rimasto al rifugio, se non fossi partito; con i “se” non si fa la storia, ma l’unica cosa certa è che non avrei provato l’emozione di quella discesa sul ghiaione; discesa che ho poi riproposto al capogita di una gita del CAI e rifatto con alcuni di quei compagni di avventura. Però il ricordo di lei non si cancella e se non ci fosse la foto scattata potrei pensare che è stato solo un sogno.
Questo racconto fa parte del ciclo "Gli amori impossibili" firmati con Cricio, il nomignolo affibiatomi al TTB, vedi
C’era un cartello di stop
L’improvvisata
Dimenticare Cristina (o un sacchetto della spesa? Bho!)
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Giovanni Gelmini (n° articoli 506)
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