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 Anno I n° 4 del 21/07/2005    -   PRIMA PAGINA


Considerazioni “sportive”
Il pianeta calcio rischia di diventare una meteora
Lo sport spettacolo è ancora sport? Le condizioni del calcio sono emblematiche di una situazione confusa e pericolosa
Di Silvano Filippini


Il calcio non è più uno sport! E’ sufficiente prendere in considerazione gli scopi per cui gli inglesi inventarono lo sport moderno e rendersi conto che nulla di quegli assiomi fondamentali esiste più nel calcio attuale.

Lealtà - Non può esistere in uno sport dove l’unico scopo è divenuta la vittoria, anche a costo di adottare mezzi illeciti che nulla hanno da spartire con lo sport (doping, falli antisportivi, falli per mettere fuori uso l’avversario, razzismo, insulti, sputi, tatticismo esasperato che distrugge lo spettacolo e il divertimento, partite truccate o vendute, passaporti falsificati, plusvalenze gonfiate, ecc.).

Salute e rispetto del proprio corpo - La finalità di qualsiasi attività sportiva è quella di migliorare la salute attraverso il potenziamento di tutte le funzioni corporee, degli apparati e del sistema immunitario. Tutto ciò nel calcio di vertice è scomparso per lasciar posto all’uso di sostanze dopanti o, comunque, all’utilizzo di farmaci che sono stati “costruiti” nel tentativo di migliorare le condizioni dei malati, ma che non dovrebbero mai venire utilizzati nei soggetti sani a causa dei numerosi effetti collaterali che, alla lunga, finiscono per minare la salute di chi li utilizza con regolarità.

Rispetto dell’avversario - E’ sufficiente dare un’occhiata a quanto elencato sopra, a proposito della lealtà, per comprendere che il rispetto è morto e sepolto da tempo. Dove “vince” il denaro “perde” il rispetto!

Denaro - Non dico che sia auspicabile il principio dettato dal barone De Coubertain al momento di inaugurare la prima olimpiade dell’era moderna (Atene-1896). Nello sport professionistico il suo principio olimpico non è più applicabile e, dopo anni di goffi tentativi per salvarlo, anche le olimpiadi hanno dovuto aprire al professionismo (Barcellona-1992); altrimenti avrebbero dovuto far gareggiare i ragazzini, visto che gli adolescenti vengono già remunerati o possono affidarsi a generosi sponsor. Tuttavia a tutto c’è un limite. Tanto più che l’industria-calcio, per sopravvivere, deve sottoporsi alla semplice legge del bilancio per cui entrate ed uscite debbono, almeno, andare in pari. Quando mai! La stessa Juventus, che ha sempre potuto contare sui miliardi della famiglia Agnelli, qualche anno fa è stata costretta a vendere parte delle proprietà per rientrare delle ingenti spese sostenute per i calciatori. Se si volessero applicare le leggi che governano le industrie italiane, probabilmente il solo Bologna (appena retrocesso) avrebbe il bilancio attivo o alla pari, pur avendo pagato i contributi e il fisco. Tutti gli altri, con i conti in rosso o con grossi debiti nei confronti dello Stato, dovrebbero dichiarare fallimento e scomparire dal calcio professionistico (Lazio in primis).

Immoralità - Nessuno di noi è in grado di sopportare che un lavoratore possa venire pagato mille, centomila volte di più della media percepita da tutti gli altri. Ancor meno lo sopporteremmo se sapessimo che la ditta che lautamente lo gratifica è destinata a fallire proprio per tale sperequazione. Abbiamo fatto gli Stati Uniti d’Europa, ma non siamo stati in grado di fare altrettanto per lo sport. Unificando le regole del calcio si sarebbe potuto introdurre anche il “tetto dei salari”. Come, del resto, hanno fatto gli Stati Uniti d’America già dal 1986. Anche nell’NBA troppe franchigie rischiavano il fallimento per via degli elevati stipendi. Così hanno introdotto il “salary-cup” per cui, per ogni dollaro che sfora il tetto prestabilito, si deve pagare la tassa sul lusso. Tassa che va a favore delle squadre che sono risultate virtuose. Un meccanismo semplice come l’uovo di Colombo, ma che funziona perché nessuno intende avvantaggiare gli avversari.

Calcio: specchio della società - In una società degradata dove il denaro e il potere stanno sostituendo valori ben più profondi, non dobbiamo meravigliarci se la stessa “filosofia” viene applicata (in modo ancora più immorale) al mondo del calcio professionistico, dove potere e denaro vanno a braccetto. Così la corruzione, o la paura di restare fuori dal giro, hanno finito per coinvolgere ogni componente: presidenti, dirigenti, giornalisti, arbitri, giocatori. Del resto le ultime vicende non fanno che confermare la situazione. Dopo due anni di regno della Lega da parte di Galliani (che ha generato notevoli conflitti di interesse e non poteva essere altrimenti), la torta è stata divisa tra le due fazioni che si spartiscono il potere: -da una parte Milan, Juventus, Inter, Roma, Lazio con Galliani presidente della Lega e Giraudo nell’ombra a muovere i fili; -dall’altra il gruppo Della Valle con Zamparini vicepresidente (ma con firma al pari di Galliani) che comprende Fiorentina, Sampdoria, Bologna, ecc. Sono proprio curioso di vedere come andrà a finire. Al primo disaccordo il meccanismo si incepperà, facendo saltare in aria il giocattolo! Tanto per cominciare la nuova gestione ha tagliato i fondi di mutualità da concedere alla serie B e poi ha fatto saltare il contratto collettivo TV con SKY e i più grossi club tratteranno, come al solito, direttamente con SKY, lasciando le briciole agli altri. Sono altrettanto curioso di vedere come si risolverà la questione Bergamo (sostenuto dal gruppo Juventus) e Pairetto (gruppo Fiorentina). Spero proprio che intervenga un nuovo personaggio che, oltre ad essere al di fuori delle parti, sia esente da scandali precedenti al loro insediamento (come Bergamo e Pairetto). Anzi il sistema arbitrale dovrebbe essere affidato ad un gruppo a parte, completamente sganciato dalla Lega e dalla Federazione. Del resto l’unico sistema valido e collaudato (vedi sport USA) per far funzionare lo sport professionistico è quello di affidare la lega ad un MANAGER ESRANEO alle parti (ad esempio Gianni Rivera). Ma in Italia é un’autentica utopia perché ognuno intende conservare il proprio potere di gestire il campionato e chi non l’ha ancora, farà di tutto per entrare nella stanza dei bottoni. Stanza dove, per il momento, ha grande successo il “burattinaio” Luciano Moggi che muove i fili (direttamente o indirettamente attraverso i suoi uomini) di otto società di serie A e di 20 club di B e C. Come se non bastasse, attraverso la GEA (una specie di associazione dei procuratori, presieduta dal figlio Alessandro) controlla duecento giocatori e molti allenatori. Se a tutto ciò si aggiunge che Carraro, di nuovo eletto presidente della Federazione, non osa andare contro le decisioni della Lega, il quadro appare abbastanza chiaro e immutabile. Tanto più che Carraro è presidente di Mediocredito Centrale che fa parte del gruppo Capitalia, banca che vanta crediti da diversi club ed ha un membro nella GEA. Allora siamo costretti a tenerci ancora questo calcio dove corruzione, clientelismo e ingiustizia proliferano. A meno che l’Antitrust (da anni sta indagando sul sistema calcio), il Fisco (creditore di miliardi di euro) e l’Unione Europea (che vuole annullare il decreto salva-calcio) si decidano a scoperchiare la pentola e ad estirpare il bubbone! In caso contrario il calcio perderà sempre più credibilità agli occhi dei tifosi (e non) che finiranno per abbandonarlo… al suo destino di meteora che si perde nello spazio!



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