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 Anno II n° 4 del 02/03/2006    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Viaggio tra le dottrine di politica estera statunintensi
Ma gli USA amano davvero l’Europa?
Un escursus dall'ottocentesca 'dottrina di Moore' degli 'emisferi separati' a quella dei Bush del 'controllore del mondo' mostra la vera filosofia degli yankee
Di Giovanni Gelmini


Negli ultimi anni la politica estera statunitense è, in molti modi entrata in rotta di collisione con gli interessi europei. L’ultima crisi ufficiale la possiamo datare con l’invasione dell’Iraq, in cui l’Europa si è spaccata su due posizioni nette: gli interventisti, guidati da Regno Unito e Spagna e i non interventisti guidati da Germania e Francia. La posizione di quest’ultimi paesi è stata fortemente criticata da moltissimi che ritengono gli USA i nostri amici da sempre, quelli che si sono sempre sacrificati per noi e che ci proteggono. La storia però non è così e questa è solo l’impressione che ci permea dopo essere stati salvati dallo “sbarco in Normandia” e dal “piano Marshall”.

Se proviamo ad analizzare l’evoluzione degli interessi e dei metodi della politica estera statunitense ci accorgiamo che al centro della loro politica, ovviamente, c’è sempre il loro esclusivo interesse, ma la cosa che emerge è il corollario dei “due Bush”: per fare gli interessi degli Stati Uniti e per fare trionfare la loro ideologia di vita questo grande paese si deve accollare il compito di controllare il mondo. Sembra una tesi da Julues Verne ne “Il Padrone del mondo”, e invece è quello che si legge nella storia delle “dottrine” dei vari Presidenti che si sono succeduti.

Fino alla fine dell’800 la dottrina imperante era quella della separazione dei mondi: gli Stati Uniti si dovevano disinteressare all’euroasia e l’unico loro interesse era il continente Americano. Ritenevano che questo fosse di loro stretta competenza e che qualunque ingerenza europea in quel continente non potevano andare oltre il mantenimento dello status quo delle colonie esistenti, anzi loro hanno sistematicamente appoggiato le varie “rivoluzioni” per estromettere l’influenza dei paesi europei. Questa è la cosiddetta “dottrina di Moore” che ha permesso lo svincolamento delle colonie europee e l’affermarsi del predominio Usa nel continente americano

Il problema della crisi finanziaria del Venezuela e della Repubblica Dominicana pose un problema di “sicurezza economica”. Richiamandosi ad un principio della “dottrina Moore”, quello della non colonizzazione, gli Stati Uniti giudicarono inammissibile che uno stato estero si intromettesse negli Stati dell’america latina e si posero come garanti degli adempimenti di questi stati.

Questa nuova situazione introdusse il concetto del compito da svolgere dal Governo statunitense di international police power. Questa idea poi permeerà completamente la logica della politica estera di Washington. A questo concetto non è estranea una impostazione religiosa: infatti nel quarto messaggio di T. Roosevelt alla nazione leggiamo: “Abbiamo tanti peccati nostri da combattere, e in circostanze ordinarie possiamo fare di più per l'elevazione generale dell'umanità, impegnandoci col cuore e con l'anima ad arrestare la corruzione pubblica, la brutale inosservanza della legge e i violenti pregiudizi di razza qui a casa nostra, anziché perseguire lo scadimento morale e il malgoverno in altri paesi. Tuttavia certi crimini, perpetrati su vasta scala e con infinito orrore, sono tali da farci riflettere se non è nostro manifesto dovere tentare almeno di esternare la nostra disapprovazione di fronte al misfatto”.

La nuova posizione che gli USA alla fine del XIX° secolo assunsero nell’economia mondiale, impose un ulteriore cambiamento nelle “dottrine” di politica estera. Così entrarono in conflitto con la Vecchia Europa, in particolare per la conquista dei mercati asiatici. La nuova politica si indirizzò così verso la open door policy, enunciata dal segretario di Stato John Hay, il 6 settembre 1899, in un atto di indirizzo per gli ambasciatori presso i paesi che avevano rapporti commerciali con la Cina

L’idea di politica estera contenuta nella “dottrina Moore”, con aggiornamenti succedutisi, rimane intatta quindi per tutto l’800 e subì la sua prima evoluzione con la “guerra dei Boxer” nel 1900 quando gli Stati uniti intervennero a fianco delle potenze coloniali per reprimere la rivolta in Cina. Si sviluppò in quella contingenza il cosiddetto “corollario Roosevelt”. La dottrina venne infatti integrata dalla dollar diplomacy proposta dal presidente Thaf contenuta nel quarto messaggio annuale del 1912: “La diplomazia della presente amministrazione ha cercato di corrispondere a una moderna concezione di interscambio commerciale. Questa politica è stata definita come una sostituzione dei dollari alle pallottole. È una politica che risponde al tempo stesso a sentimenti idealistici umanitari, a un' oculata strategia politica e a legittime finalità commerciali. Essa è uno sforzo francamente diretto ad incrementare il commercio americano in base al principio assiomatico che il governo degli Stati Uniti offrirà tutto il suo giusto appoggio a qualsiasi legittima e vantaggiosa impresa americana all'estero

Si fece strada la concezione statunitense dell’imperialismo, che subentraò alla vecchia concezione europea di “dominio territoriale”. Il controllo avvenne attraverso operazioni finanziarie ed attraverso il controllo dei trasporto e del sistema bancario. Così nel Dipartimento di Stato si svilupparno compiti anche di mediazione di affari per gli investitori americani. La politica di occupazione commerciale e finaziaria” non escluse però gli interventi militari come è infatti avvenuto a Santo Domingo, Haiti e Nicaragua.
La finanza americana, oltre che nei paesi arretrati dell'America latina e dell'Asia, sviluppò i suoi interessi anche in Europa. Ormai la “
dottrina di Moore
” è stravolta e senza piu senso. Due sono le giustificazioni apportate.
Secondo Mahan non era più possibile ignorare gli avvenimenti del continente eurasiatico. Il livello raggiunto come potenza industriale e militare necessitava della collaborazione con le nazioni sviluppate e riproponeva il principio di equilibrio, respinto dai padri fondatori, e la politica della porta aperta serviva a compensare la competizione delle grandi potenze in Asia su un terreno di parità. Alle stesse conclusioni era arrivato T.Roosevelt, ma giustificava questo cambiamento con una teoria dell’evoluzione storica, con evidenti visioni ‘teologiche’: la translatio imperii che nel tempo spostava il controllo del mondo da est verso ovest; dal Mediterraneo all'Europa anglosassone, dalla Nuova Inghilterra al Pacifico, dove finalmente l'Oriente e l'Occidente si potevano incontrare e il cammino della civiltà potesse giungere al suo compimento

Resta il fatto che la politica degli Stati Uniti era ispirata da due teorie opposte: quella della “porta aperta” nei riguardi dell'Asia, quella di Monroe per l’America Latina.

Le due guerre mondiali posero il problema della validità della “dottrina di Moore”. Ovviamente i politici sono bravissimi a giustificare il tutto ed il contrario del tutto.
Wilson, per l’intervento nella prima guerra mondiale, superò l’incongruenza e propose, delle alleanze fra Stati, di superare la base di un equilibrio di potenza. Questo metodo, nella sua concezione, veniva sostituito da sola organizzazione mondiale. Questa idea si realizzerà nella Società delle Nazioni.
Franklin D. Roosevelt, per la seconda guerra mondiale, trovò invece la giustificazione all’intervento per combatte l'isolazionismo in cui gli Stati Uniti si sarebbero trovati circondati come isola battuta dai flutti del totalitarismo.

La fine della seconda guerra mondiale cambiò ancora la prospettiva in cui si doveva muovere la politica estera degli Stati Uniti e nel ’47 Truman iniziò la fase delle relazioni internazionali “bipolari”. Il suo concetto fondante era stato espresso nel messaggio annuale sullo stato dell’Unione del 6 gennaio 1947 in cui aveva affermato la possibilità di avere interessi convergenti con l’Unione Sovietica, nemico ideologico fino ad allora del sistema americano.

Il dopo guerra fu caratterizzato dalla formazione dell’“impero sovietico”. Sulla base del trattato di Yalta l’Europa venne spartita fra l’influenza statunitense e quella Russa. Ma l’espansionismo sovietico puntava anche ad altri paesi. In Grecia e Turchia furono attivi gruppi comunisti che cercarono di sovvertire l’ordine e prendere il potere. La Gran Bretagna non potè piu provvedere al sostegno di quei paesi.

Truman mobilitò un intervento immediato di appoggio sia economico-finanziario che militare sul principio che la stabilità di quei paesi era necessaria per salvare la pace mondiale e il bene dell’America. La linea di pensiero è chiara: “..non potremo realizzare i nostri obiettivi se non siamo disposti ad aiutare i popoli liberi a mantenere le loro libere istituzioni e la loro integrità nazionale contro i movimenti aggressivi che cercano di imporre regimi totalitari. (...) I regimi totalitari imposti a popoli liberi, mediante aggressione diretta o indiretta, minano le fondamenta della pace internazionale, e quindi la sicurezza degli Stati Uniti”. Questa posizione di Truman, anche attraverso la costituzione delle Nazioni Unite, diventò il movimento ispiratore della politica del dopo guerra degli Stati Uniti. Secondo Truman c’erano due tipi di governo: quello basato sulla volontà della maggioranza espressa con libere elezioni, assemblee rappresentative e le garanzie di libertà individuale e quello basato sulla volontà di una minoranza impose col terrore e la repressione.

Alla dichiarazione di Truman la Russia rispose con il richiamo alla lotta di classe, alla contrapposizione tra il mondo “imperialista” degli Stati Uniti e quello “antimperialista” dell’Unione Sovietica (ovviamente queste sono definizioni fatte dall’Unione Sovietica). Risposta a questa contrapposizione fu la nascita del Patto Atlantico e del Patto di Varsavia.
La dottrina di Truman implica l’abbandono definitivo della “dottrina di Moore”.

Negli anni sessanta si assiste a una distensione internazionale con l’inizio del disarmo sotto la presidenza Kennedy.

L’avvento di Nixon e le cambiate situazioni mondiali portarono ad un’evoluzione della contrapposizione tra i due blocchi Occidentale e Orientale e si cerca un equilibrio multipolare, con la presa di coscienza dell’esistenza di una competizione a tre punte Russia – Cina – Occidente.

Con Bush padre nel 1991 si torna alla concezione unipolare del mondo, in cui gli Stati Uniti hanno il compito di “guidarlo per il bene dell’umanità”.

La dottrina Bush porta ad un’idea: quella che sia possibile trarre dalla crisi del Golfo Persico un nuovo sistema di rapporti planetari basato su una collaborazione russo-americana. Questo passa anche attraverso il controllo delle fonti di produzione petrolifera. Su questa base viene annunciato l'avvento del “prossimo secolo americano

Questa idea passa di padre in figlio e quest’ultimo nel messaggio sullo stato dell'Unione, il 29 gennaio 2002, presenta gli Stati Uniti come “blessing country” (nazione che benedice), chiamata a compiere una missione si salvezza nazionale: a soccorrere gli afflitti, presidiare la pace, confondere il Maligno. Tocca alla nazione americana la responsabilità di guidare il mondo nella lotta contro il terrorismo internazionale. Il suo destino non può essere affidato a una politica di contenimento, né subordinato al giudizio altrui.. Credo che sia importante sottolineare un fatto:lo stesso reverendo Billy Graham, che era già stato ispiratore delle linnee di politica estera del padre, è all'origine della conversione alla fede di Bush figlio, dopo un momento di vita dissipata.

Nel frattempo le situazioni geopolitiche sono ancora cambiate.

Negli ultimi anni assistiamo ad uno sviluppo galoppante della Cina, seguita dall’India; questo cambia gli equilibri mondiali e crea nuovi punti di riferimento.
Il petrolio sta mostrando i limiti al suo utilizzo e avanzano i prodotti energetici alternativi (vedi a anche il discorso sullo stato dell’Unione del gennaio 2006).

Negli anni ’90 è nata una nuova Europa dalla riunione dei paesi vhe vanno dalla Spagna al confine con la Russia; se questa potesse raggiunge una coesione di “Stato”, potrebbe essere un altro dei riferimenti mondali, anche questo è in contrasto con la concezione di centro del mondo degli Stati Uniti.
La seconda guerra del golfo ha rallentato, se non reso impossibile questa coesione.

Se Cina ed Europa trovano un punto di accordo gli Usa perdono il loro strapotere. L’attuale tensione nel medio oriente e l’integralismo islamico è una spina nel fianco per un ordinato sviluppo dell’Euroasia.

Bush figlio ha tenuto conto di tutto questo nell’affrontare la seconda guerra del golfo o è stata una sorpresa per lui? Difficilmente avremo una risposta nei prossimi anni a questa domanda, ma il risultato è sicuramente di aver destabilizzato le nostre economie e la nostra capacità di controllare la politica estera mondiale. Il gioco si sta riducendo ad un contrasto Cina – USA e la prossima amministrazione degli Stati Uniti dovrà trovare una nuova “dottrina” per la politica estera.



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