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 Anno II n° 10 del 25/05/2006    -   TERZA PAGINA


Visto per voi
'E il cuore impazzì e ora no, non ricordo da quale orizzonte sfumasse la luce'
Morgan interpreta De Andrè, e ne risveglia la magia
Di Salvatore Cosseddu


Esiste, lontano nella memoria, un piccolo capolavoro artistico, un disco dove in poco più di mezz'ora di musica e poesia si affollano piccole storie che diventano pretesti per dipingere emozioni, sensazioni, per descrivere la forma e la materia dell'umanità. Tutte unite da quel filo sottile che è la collina, il luogo dove gli uomini infine si incontrano, chiunque essi siano stati o comunque abbiano vissuto, per l'ultimo ricordo. La collina non è altro che il cimitero del villaggio inglese descritto da Edgar Lee Master nella sua “Antologia di spoon river”, dal quale il più grande cantautore italiano Fabrizio DeAndrè ha preso ispirazione per scrivere uno dei suoi migliori dischi, “Non al denaro, non all'amore né al cielo”, sicuramente uno dei più amati dai suoi tanti estimatori.

Tra questi vi è Marco Castoldi, noto al grande pubblico col nome di Morgan, musicista milanese con una storia musicale importante alle spalle: una carriera che inizia a metà degli anni 90 e che l'ha portato ad un enorme successo grazie ai Bluvertigo, gruppo fondato assieme ad Andrea “Andy” Fumagalli, del quale era autore dei testi e della maggior parte delle musiche. All'epoca si muoveva, completamente a suo agio, in una sperimentazione sonora rara per la musica italiana, soprattutto per quella mainstream dei dischi d'oro e che passa nelle radio commerciali: un originale mix di elettronica anni '80 e rock dei primi anni novanta. Il tutto accompagnato da testi mai banali, distinguibili per la metrica particolarissima, tutt'altro che nei canoni della musica melodica che ricordava il maestro Battiato.

Ma Morgan è famoso per le sue camaleontiche evoluzioni: nell'immagine e nella musica. Per questo, quando l'esperienza dei Bluvertigo finì, presto uscì un album solista “le canzoni dell'appartamento” (2003), dove gli anni ottanta erano sostituiti dalla musica leggera anni 60, i sintetizzatori dal piano e le melodie perdevano un po' di rabbia per lasciar spazio a ironia e non-sense.

E proprio in questo recupero del passato e di questa maturazione personale verso testi più pensati che Morgan riscopre DeAndrè e decide di riprendere e dare la sua interpretazione di “non al denaro non all'amore né al cielo”. Perché, come lui stesso fa capire nelle interviste, mentre la bellezza della musica classica sta anche nella reinterpretazione di opere scritte da altri per altre orchestre, nella musica leggera italiana le canzoni rimangono pietrificate senza che nessuno abbia il coraggio di rileggerle e omaggiarle. Infatti di coraggio si tratta, perché parlare di DeAndrè è per molti come parlare di Dante, un'icona da adorare più che un autore da amare.

Non furono pochi a diffidare delle capacità di riproporlo senza violentarlo o banalizzarlo, ma Morgan con la sua innegabile bravura è riuscito nell'impresa di darne un'interpretazione che riesce a rimanere nel solco dell'originale ma nel contempo essere personalissima. Pubblica un disco e porta in giro per l'Italia una serie di concerti con due arrangiamenti opposti: quello dell'album con i classici strumenti e uno per i teatri dove il suo unico compagno è un pianoforte.

Questi ultimi in particolare dimostrano l'assoluta bravura di Morgan e rappresentano sicuramente una delle più belle cose che la musica italiana attuale può proporre. Tutta la prima parte ripropone alcuni dei maggiori successi suoi e dei Bluvertigo, da “cieli neri” ad “altrove”, insieme a canzoni magari sconosciute al grande pubblico ma che danno un fedele spaccato della sua storia artistica, d'impatto anche per coloro che non sono fan. Nella seconda parte inizia la riproposizione di “non al denaro non all'amore né al cielo”. Morgan riesce con la sua sola interpretazione magistrale e con il suo naturale impatto scenico a trascinare il pubblico per fargli rincontrare i personaggi, le loro storie ed emozioni, sottolineando i momenti drammatici e divertenti fino a creare un'atmosfera leggera ma intensa senza cedimenti, dove ogni canzone contribuisce a creare un quadro profondo di umanità. Partendo da “la collina”, il concerto non da nemmeno l'occasione di trovare un apice, per l'assoluta bellezza di ogni canzone. Anche pezzi che parrebbe difficilissimo rendere con solo pianoforte e voce, come ad esempio “il malato”, “il giudice” o “l'ottico”, alla fine trasmettono sensazioni come se si fosse ascoltata un'intera orchestra.

L'unico consiglio che si può dare è quello di provare in prima persona, se quanto ho scritto è vero, alla fine la spesa è veramente bassa per la media con cui ormai fanno pagare la musica dal vivo, anche quella di scarsa qualità. Magari potreste riscoprire un album che mai invecchierà e conoscere un musicista italiano che ancora cerca di mettere contenuti nel suo lavoro, in un periodo dove la qualità scarseggia sempre più.



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