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Anno II n° 13 del 06/07/2006 - TERZA PAGINA La Valle dell’Adda – visto per voi |
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C’è una valle – quella dell’Adda – che tutti noi, oggi, conosciamo. Che ha ospitato secoli della nostra storia, e che oggi ospita un vero e proprio, vivente, pezzo di passato. Parliamo di un carro – con tanto di cavalli a trainarlo – che come un (gioioso) fantasma anacronistico quest’estate percorrerà varie tappe, portando nei piccoli paesi padani il gusto di uno spettacolo che si apre nella propria piazza. Perché anche a tutt’oggi, nel 2006, era multimediale globalizzata, vi sono piccole realtà isolate per cui le possibilità d’interazione con il mondo si limitano alla televisione. Nulla di male, certo, ma si può certo dire che non è esattamente ciò che viene inteso come “modo di passare una serata votata alla cultura”. E qui arrivano i Bollenti Spiriti con il loro carro. E' un nome che compare assieme ad altri eventi nell’organizzazione estiva 2006 La Valle dell’Adda, opera composta da La Nuova Compagnia d’Arte Scenica. Bollenti Spiriti ha in sé una ristretto gruppo di teatranti e aiutanti, un’organizzazione dedita alla ricostruzione storica del teatro d’epoca. La Nuova Compagnia d’Arte Scenica ha iniziato il proprio percorso qualche anno fa, con il teatro cinquecentesco; ci offre quest’anno uno spettacolo in pieno Illuminismo, con parrucche, servette, maschere tipiche dell’epoca, ironia e qualche richiamo al presente, perché non si confonda antico con antiquato. La vicenda narrata in Bollenti Spiriti è un teatro nel teatro.Il protagonista, Pomponio Amanzio, è un attore viziato, lamentoso, così occupato a ricoprire gli onori della propria professione da ritrovarsi, il giorno precedente la Prima, con un copione ancora da studiare (l’allegorico e pantomimico “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, per la cronaca), che condivide l’esclusiva di personaggio portante con la serva Zita. Zita: caricatura della servetta irriverente, che di riflesso come il padrone si lamenta, ma che, a differenza di questo, con il suo continuo piagnucolare sortisce una simpatia cameratesca. All’interno di questa ristretta e stramba famiglia appare, pressoché letteralmente, un fantasma. Fantasima, verrà chiamata per tutto lo spettacolo, caricaturata nell’appellativo quanto nei modi da nobildonna spagnola (defunta, ma pur sempre fascinosa). Il quartetto viene chiuso da una Sensitiva, figura ambigua (forse un riferimento all’odierna confusione riguardo al genere?) che mostra di saper conoscere, là dove il denaro lo richiede, qualsiasi segreto di magia, invocazione degli spiriti, scongiuri e chi più ne ha più ne metta. Uno spettacolo e una certezza: quella di non annoiarsi, perché ogni momento è riempito, colmato, da battute, e se non sono le battute a causare le risate ci penserà un gesto, se non un gesto un’espressione. Si può insomma dire che il pubblico sia accudito a trecentosessanta gradi, non un momento di stasi in cui annoiarsi. Ma, come ogni buona opera, Bollenti Spiriti ha più livelli di lettura, non solo quello finale, il risultato immediato che causa tanto riso. Dietro alla durata della rappresentazione c’è una ricerca storica accurata, che da parte dallo studio dei costumi all’adozione di un linguaggio consono all’epoca rappresentata. E quindi: tre sarte nei retroscena e battute che, pur variando di volta in volta sotto l’influsso dell’improvvisazione, sono inequivocabilmente figlie dell’epoca Illuminista. Gli elementi anacronistici che appaiono, come gli occhiali da sole perennemente posati sullo stizzito naso dell’Indovina e i richiami calcistici in vista della Nazionale, sono quindi voluti e ricercati, inseriti senza timore in un contesto abbastanza solido da non dover temere fraintendimenti. Parliamo poi della vera e propria recitazione. Teatrale, ricordiamolo, e senza l’ausilio di alcun microfono – esattamente come i fari sul palco altro non sono che fiamme naturali. Messa da parte la tecnica del passo (il personaggio compie un passo in avanti, dice la battuta, compie un passo indietro), lo scambio di dialoghi avviene per sguardi. Detta la battuta il personaggio si rivolge con gli occhi verso il compagno, e tutto il pubblico si ritrova, per ovvio motivo, a fare lo stesso, puntando l’attenzione sulla prosecuzione del dialogo. Sottigliezze del mestiere, che lo spettatore non esperto non coglie, ma dalle quali viene colto. Ho avuto il piacere di discutere con Sonia Rosset, regista e sceneggiatrice. Vero piacere, perché ci sono persone in cui il teatro dimora stabilmente, ed entra così a fondo che anche il discorso più ordinario – come, ad esempio, un’intervista senza microfono – diventa momento in cui intrattenere l’interlocutore. Sonia ha raccontato a Spaziodi Magazine quel che leggete, e anche di come i comuni che ospitano Bollenti Spiriti si trovino perplessi davanti alla richiesta logistica di sussistenza: due balle di fieno per i cavalli. «siamo in Pianura Padana, avranno del fieno» ha continuato lei ridendo e col tono di chi conosce il proprio territorio. Bollenti Spiriti è infatti costruito su misura: sono le valli del Po che permettono a questo bizzarro carro di essere trainato da semplici cavalli; è per chi in questa valle, così densa di echi di tempo passato ma forse povera d’appuntamenti ricreativi e culturali, che Bollenti Spiriti va in scena. Uno spettacolo da vedere in una serata tiepida. Per il divertimento, e per la qualità.
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