REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno IV n° 3 MARZO 2008 - EVENTI Presentazione critica alla mostra |
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Figura anomala quella del catalano Sergi Barnils nel panorama d’arte contemporanea non solo europea, così personale nella propria autonomia stilistica e di difficile collocazione nei parametri critici usuali, da costituire un “unicum” sul quale molto si è autorevolmente detto, senza tuttavia esaurire, questa è la sensazione sottile, quel margine di indefinibilità che pare persistentemente accompagnarlo.
Bene si evidenzia in tutta la sua forza un percorso di conoscenza e rinascita che l’artista non esita pubblicamente a definire autentica conversione personale, un’illuminazione a partire dalla quale e in perfetta aderenza con essa, l’essenza della sua opera ha assunto significati del tutto diversi. Per percepirne al meglio la profondità occorre assumerla nella completa interezza e originalità, assaporandone con stupore la vibrante lievità che sottende, gioiosa e armonica, ogni passaggio, non disgiunta, nella duplicità della lettura, da un senso inquietamente profetico di tempi e umori precipitosamente oscuri.
Una pittura, ben lo sappiamo, che giunge qui da intensi trascorsi, robusta nei suoi ancoraggi cromatici di maiolicata purezza, in echi musicali, germinata in una terra fertilissima d’arte e culture tra bagliori di luce smagliante che tutto permea sino al cuore di pagine rivoluzionarie che hanno mutato la storia dell’arte moderna. Ma è certamente, non prescindendo dalle fondamentali argomentazioni delle avanguardie novecentiste, al conterraneo Mirò che Barnils guarda e alla sua ricerca sulla spontaneità e libertà del gesto infantile, primigeno di ogni rapporto comunicativo, così come condivise con certi dettati dell’Art Brut l’assunto di un’espressività senza filtri, ricavandone l’impulso per quel segno schematico che fortemente stilizzato e iterato diverrà riconoscibile cifra del proprio personale alfabeto espressivo. Si avvia così in capitoli di sempre maggior coinvolgimento dell’autore quel racconto epico e insieme fantastico che Barnils consegna alla simbologia della propria visione, adattata in mille varianti, ora più fiabescamente allusive, ora più analiticamente astratte, incidendo uno spazio-metafora di un cosmo immanente dove ogni forma preesiste in attesa di rivelazione, metafora per la quale l’artista trova ragione e strumento nell’antica ardua tecnica dell’encausto, ove è la forza del gesto a riaffermare dall’oltre dell’invisibile valori e certezze che la cera separa dalla realtà del visibile.
Tra il turbinio di simboli che ormai assumono la consistenza di vere “monadi” fluttuanti e autonome su fondi di materia non neutrale nelle alchimie dei significati presenti, persiste l’inquietudine di un linguaggio che l’artista non rivela completamente, confermando anche in questo tutta la capacità maieutica di Sergi Barnils che affida le propria visione alla liturgia di un mito che non avrà fine se non nell’ultimo salvifico approdo, e mentre non elude l’enigma bisognoso di meditato impegno e silente ascolto, indica nelle scansioni segrete dei suoi “mandala” le chiavi di una rivelazione pazientemente celata. Alla mostra sono collegati alcuni eventi interessanti vedi al termine scheda della Mostra
SERGI BARNILS - "A Través del cami que mena cap a lo llum"
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