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 Anno IV n° 10 OTTOBRE 2008    -   IL MONDO - cronaca dei nostri tempi


Cosa ci sta succedendo?
La crisi finanziaria mondiale va da sola o fa parte di una crisi più ampia?
Esistono i “cicli economici”, noi in che punto siamo del ciclo dell’economia mondiale?
Di Giovanni Gelmini



Lo scenario attuale
Tentiamo di definire lo scenario in cui oggi ci muoviamo; questo ci servirà per inquadrare il nostro periodo nell’andamento dei “cicli lunghi”: movimenti economici di lungo periodo, che sono poco noti alla maggior parte delle persone, ma che invece ci aiutano molto a comprendere cosa sta succedendo.

Allora possiamo partire da un fatto “storico”recente: la caduta del muro di Berlino. Quel momento simbolico ha dato una svolta netta allo stato delle nazioni: improvvisamente si è passati da un sistema bipolare ad uno monopolare, apparentemente senza scosse, se si esclude il conflitto balcanico, ma non è così. Se la gente si è sentita libera da un’oppressione durata mezzo secolo e ha sperato nella pace e in una vita di benessere, altri si sono sentiti liberi, forse con altri obiettivi.

Due sono stati gli effetti diretti: la “liberalizzazione dei mercati” dell’ est Europa e una grande disponibilità di armi “russe” sul mercato.

La liberalizzazione dei mercati dell’Est ha provocato lo spostamento di molte attività manifatturiere dell’Europa ai paesi diventati liberi. Questo ha voluto dire prodotti a più basso costo, ma anche ad una diminuzione dell’occupazione nei paesi tradizionali, quindi un abbassamento del monte redditi “da lavoro” nei paesi più avanzati del nostro continente e un aumento dei redditi delle fasce più elevate. A questo si è aggiunto anche l’effetto del cambiamento della politica economica cinese che potremmo identificare, come evento storico, con il ritorno di Hong Kong sotto il controllo di Pechino.

La grande disponibilità di armamenti, fuori dal controllo della politica degli Stati, conseguenza del crollo dell’impero russo, può coincidere con il diffondersi di molte guerre locali in Africa e nella recrudescenza dell’azione armata del fondamentalismo islamico.

A questo dobbiamo aggiungere che gli USA hanno vissuto la condizione di padroni del mondo e hanno iniziato ad agire senza cautele, aprendo fronti inutili e dannosi come quello dell'Iraq.

Capisco che qualcuno possa storcere il naso perché tratto un complesso periodo storico con una descrizione brevissima e senza addentrarmi in tutti i necessari distinguo, ma per la trattazione che sto affrontando mi è sufficiente ricordare il passaggio “emotivo,” lo status in cui la gente si è trovata in questi ultimi quindici anni e il peggioramento della qualità della vita.

Oggi viviamo ancora due problemi: la crisi “ambientale” e la fine ingloriosa della “finanza creativa”.

Potremmo quindi dire che questi decenni sono caratterizzati da un crescendo di instabilità, da un periodo segnato da eventi luttuosi, uno per tutti l’11 Settembre, e guerre diffuse e percepite da tutti.

I cicli economici
Veniamo ora ad individuare cosa dicono gli studi di economia.
Lo stato dell’economia si muove in modo irregolare con alti e bassi: i cicli economici.
Tutti conoscono i cicli brevi, quelli cosiddetti “congiunturali”: questi in genere non superano i 40 mesi, ma non sono i soli.
A questi si sovrappongono i cicli “medi”, determinati da fattori non congiunturali, ma non strutturali, che, a secondo dei fattori dominanti, possono avere un andamento da 7 a 11 anni.
Infine gli economisti hanno individuato un altro tipo di ciclo: quello “lungo”, che è poco percepibile dall’occhio umano, perché ha la durata indicativa di mezzo secolo e quindi sfugge alla osservazione giorno per giorno, possibile a tutti. Questi ultimi sono stati messi in evidenza da Kondrat’ev e studiati in particolare da Schumpeter e Freedman, che hanno individuato come ogni ciclo abbia alla sua base l’azione di una tecnologia “pervasiva”, cioè che agisce su tutti i settori dell’attività umana, cioè un “paradigma tecno-economico”. Infatti le caratteristiche d'uso di queste tecnologie sono tali da cambiare non solo l’assetto produttivo, ma anche quello economico e sociale.

Nella fase di diffusione della tecnologia questa è in grado di alzare la produttività di tutti i fattori che entrano in gioco nello sviluppo economico e quindi di dare al mondo stabilità e benessere (la fase crescente del ciclo). Quando ha raggiunto il suo massimo dell’efficienza, la crescita si esaurisce e inizia la fase decrescente del ciclo, aumentano le difficoltà e la turbolenza sociale.

I periodi di cambiamento del ciclo, la parte bassa della curva della durata di più di un decennio, sono caratterizzati da una profonda mutazione della struttura istituzionale e sociale, ma sempre sono pronte una o più teconolgie innovative in grado di far ripartire la fase positiva del ciclo. Però non possiamo dimenticare che un’innovazione profonda pretende un altrettanto profondo cambiamento della struttura socio-istituzionale. Questa fase presenta inizialmente un crescente squilibrio tra il nuovo sistema tecno-economico e la vecchia struttura socio-istituzionale, con forti spinte a modificare il comportamento sociale e le istituzioni e altrettanto forti resistenze. Solo al termine dei cambiamenti il nuovo assetto tecno-economico potrà sviluppare i suoi benefici effetti.


Proviamo ad elencare i cicli individuati e i periodi di “cambiamento” ad essi legati.fino alla caduta del muro di Berlino.
  • I° ciclo dal 1770-1780 al 1830-1840 Ciclo della prima meccanizzazione con l’avvento della macchina a vapore di Watt (rivoluzione industriale, nascita dell’opificio, della figura dell’imprenditore e del proletario, rivoluzione francese e americana). Il ciclo termina con l’instabilità delle rivoluzioni “carbonare”.
  • II° ciclo dal 1830-1840 al 1880-1890 Periodo vittoriano delle ferrovie e dei battelli a vapore, la macchina a vapore diventa mobile, la nascita degli imperi europei e lo sviluppo del liberalismo. Il ciclo termina con l’instabilità della fine ottocento, la rivoluzione russa e la prima guerra mondiale.
  • III°ciclo dal 1880-1890 al 1930-1940 la “Belle époque”.Ciclo dell’industria pesante: elettricità e acciaio. Si assiste alla nascita dei grandi monopoli e dell’imperialismo, inizia l’intervento dello stato nell’economia. Il ciclo arriva al suo termine con la grande depressione del 1929 e con la seconda guerra mondiale.
  • V°ciclo dal 1930-1940 al 1980-1990 “Età d’oro della crescita e del primo impegno keynesiano ciclo caratterizzato dall’industria del petrolio, dell’auto, degli elettrodomestici e delle materie plastiche . Si sviluppano le imprese multinazionali, la guerra fredda e i grandi blocchi a base ideolocico-economica. Il termine del ciclo si può identificare con la caduta del muro di Berlino e la fine del bipolarismo e della guerra delle ideologie.

Ma allora?
Sembra evidente che ora ci si trovi nella pancia bassa di un ciclo lungo. La durata di un ciclo non è scandita da un orologio, ma è l’effetto di molte componenti che si sommano algebricamente.
Dal 1980 si è sviluppata in modo galoppante tutta la tecnologia informatica con l’annessa branca delle telecomunicazioni e con internet in prima fila. Queste sono tecnologie pervasive che hanno cambiato si il modo di lavorare e aumentato la produttività di tutti i fattori economici, ma ciò non è stato sufficiente a imporre il cambio del sistema socio-politico.

Cosa è mancato?
Questa domanda è quanto mai pertinente. Per dare una risposta dobbiamo tornare a chi ha dato le indicazioni per uscire da quella che è stata la principale crisi finanziaria mondiale, quella del 1929. John Maynard Keynes ha sconvolto le convinzioni dell’estremo liberismo americano, ma ha portato il presidente Roosevelt a promulgare la stagione dell’intervento statale nell’economia. Un intervento molto diverso da quello che nello stesso periodo fece il fascismo in Italia con la creazione di imprese di stato.

Con Keynes lo Stato si trova così ad avere tutti i ruoli richiesti dai concetti del liberismo, che sono all’opposto del capitalismo, come continuo a ripetere contro la diffusa ignoranza, ma aggiunge anche il ruolo di “promotore della crescita economica” attraverso gli investimenti pubblici. Vediamone sinteticamente i ruoli?

Dal “liberismo” allo stato resta il compito di garantire la “libertà”, non solo di espressione, ma anche di azione economica; poiché la libertà di ogni individuo termina dove inizia la libertà di un altro individuo, lo Stato deve, attraverso regole, garantire la libertà di tutti. In un modo sempre più complesso le regole diventano necessariamente sempre più complesse e limitanti della singola libertà. Fra i compiti principali restano quindi una giustizia semplice, ma efficiente ed efficace e le garanzie di sicurezza, non necessariamente come attività di polizia, ma come sanità, commercio, sicurezza sociale in quanto la povertà diventa un ricettacolo per la criminalità.

Conseguenza del punto precedente è il ruolo dello Stato nella redistribuzione del reddito. Questo dovrebbe essere inteso come sostegno alle fasce più indigenti, ma anche come intervento nella fornitura dei sevizi essenziali che non potrebbero essere sostenuti correttamente dalle imprese private. Un esempio per tutti: nella sanità il privato si occupa solo delle patologie che possono fornire reddito, i “casi rari” vengono trascurati dalla sanità gestita dal privato.

Keynes aggiunge a questa ricetta gli investimenti pubblici. È opportuno precisare che con “investimenti” non si intende l’acquisizione di aziende decotte da parte dello Stato o l’accollo dei debiti, ma l’immissione di soldi per realizzare infrastrutture utili alla comunità e alle imprese (investimenti sull'economia reale).
Il Keynes ha dimostrato come questi investimenti “moltiplicano” il reddito disponibile per le famiglie, oltre a essere un supposto per l’occupazione, e perché anche i privati scelgano di investire eaumentare così ulteriormente il valore  del “moltiplicatore” del reddito. I trasferimenti fatti per gli interventi sociali, le pensioni e gli interessi, non hanno l’effetto moltiplicatore, né la capacità di stimolare altri investimenti

Oggi ,al contrario di quanto necessario, il sistema socio-politico non solo è restato ancorato al vecchio schema, portando al massimo i suoi difetti, ma non ha saputo ottemperare alle richieste di “buon governo”; questo in particolare negli USA e in Italia.

Il boom italiano degli anni ’50 fu proprio dovuto alla massiccia dose di investimenti pubblici iniettata nell’economia. Ricordo solo una cosa che oggi non c’è più: i cantieri per infrastrutture realizzati con i finanziamenti per la disoccupazione. In questi cantieri venivano utilizzati i disoccupati che così avevano un reddito per loro e quel reddito produceva beni per tutti.

Quale è la situazione italiana oggi?
I punti di vantaggio dell’Italia, rispetto alle altre economie, sono essenzialmente due: avere un'industria qualificata, che è riuscita ad esportare anche in regime di euro non competitivo col dollaro, e una finanza meno “creativa” e quindi meno esposta oggi al fallimento.

Se è vero che questi sono vantaggi non da poco, tanti sono i punti negativi e non di facile soluzione; vediamoli:

  • Una pubblica amministrazione che consuma risorse pubbliche e private senza produrre servizi adeguati, riducendo la capacità dello Stato a fornire interventi efficienti.
    Gli investimenti pubblici sono sotto il minimo di sopravvivenza e, in parte a causa dell’ incapacità della Pubblica Amministrazione, sono inefficienti. Gli investimenti hanno peso solo se vengono completati in tempi giusti e con una spesa non gonfiata; quando i tempi diventano biblici il “moltiplicatore” del reddito tende a zero.
    Tra gli “investimenti” dobbiamo conteggiare anche quelli per la ricerca, che sono a livello infimo.
    Purtroppo malgrado la minima quantità di soldi messi a disposizione, una gran parte di questi sono sprecati, poiché non esiste nelle Università la distinzione delle carriere tra Ricercatori e Docenti. In genere i professori Ordinari sono docenti che fanno finta di fare ricerca.
  • La stragrande maggioranza delle imprese è formata da micro-imprese, fino a 5 addetti, o da imprese fino a 15 addetti. Sono troppo poche le cosiddette PMI, aziende da 50 a 200 addetti. Le PMI sono in genere imprese con maggiore capacità di innovazione, perché hanno una capacità finanziaria sufficiente, dimensioni in grado di poter dedicare risorse umane all' innovazione e, a differenza delle imprese più grosse, sono molto efficienti e aderenti alle esigenze del mercato.
  • L’insegnamento è trascurato e, specialmente nei gradi più alti, assolutamente staccato dalle esigenze reali
  • Troppe persone non sono in grado di occupare le posizioni richieste dalle imprese e si arrabattano in lavori dequalificati e poco produttivi per l’economia reale: un esempio per tutti gli operatori dei call-center di marketing telefonico.

Operare per evitare il disastro sociale, per lo Stato, non vuol dire solo agire sui trasferimenti per garantire i redditi di sussistenza, ma essere in grado di tornare ai grandi investimenti infrastrutturali e della “conoscenza”, come negli anni ’50. Di infrastrutture ne abbiamo bisogno; inoltre si deve rilanciare la ricerca, dando finanziamenti solo agli istituti specializzati. Le facoltà universitarie, che non dispongono di istituti specifici di ricerca, avranno il sostegno economico dedicato alla funzione didattica superiore e questo dovrà essere misurato attraverso i risultati ottenuti dalla funzione didattica stessa.

Ma, perché lo Stato possa tornare ad investire, si deve liberare del peso dei costi della Pubblica Amministrazione. Ciò vuol dire da una parte realizzare una profonda ristrutturazione, tagliare enti inutili o poco produttivi e dotare gli uffici di tutti i mezzi più avanzati per rendere produttivo il lavoro, ma dall’altra tagliare profondamente il numero e i compensi dei manager e cancellare il gran numero di consulenze inutili, fatte solo per clientelismo.
Moltissimi incarichi, oggi affidati a consulenti, potrebbero essere svolti direttamente dagli Uffici, con compensi straordinari agli addetti come premi di produzione.

Riuscirà la politica a cancellare mezzo secolo di mal fare? Questa è la scommessa per l’Italia.



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