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 Anno V n° 8 AGOSTO 2009    -   TERZA PAGINA



Dialogo incompetente in un giorno a Venezia
Tra l’arte contemporanea del “Padiglione Italia”, la realtà del sestiere del Castello
Di Cricio



Potrei dire: “ed uscimmo a riveder le stelle”. Ho trovato angoscianti alcune opere presentate in “COLLAUDI. Omaggio a F. T. Marinetti” al Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Il “futurismo” era un inno alla modernità, alla velocità, all’uomo che vinceva... qui ho visto opere che invece sembrano inneggiare ai risultati di questa idea: l’uomo come vittima di una megamacchina perversa.

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Fiammetta, sono distrutto, come ti senti? Vorrei riprendere il contatto con la realtà

Osservando queste opere si percepisce un’angoscia esistenziale dell’uomo moderno, che viene sovrastato dallo sviluppo che lui stesso ha concepito, al contrario del futurismo per cui anzi lo sviluppo dell’uomo deve sovrastare la natura. Non so più che ore sono, sono stata ipnotizzata all’interno. Mi sono staccata dalla realtà e dal tempo, sino in un’altra dimensione che mi lascia spossata e frastornata.

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Hai ragione Cricio, anch'io devo tornare alla realtà; sai che ho fame?


Mi sembra di ricordare un ostaria qui vicino, vediamo se riesco a trovarla, devo procedere innanzi tutto seguendo il rio che corre lungo il muraglione dell’Arsenale, poi vedremo se mi ricordo, comunque qualcosa troveremo...

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Andiamo di là ci dovrebbe essere una buona “ostaria”. Guarda Fiammetta là! Altro che futurismo, che riflessione e tranquillità...

 -

Sembra un quadro surreale; chi si siederà su quella sedia? Un vecchio marinaio in pensione a fumarsi la pipa? Segno di tranquillità come l’acqua del canale, altro che velocità dei futuristi! Non si legge nessun contrasto, nessuna sofferenza violenta, al massimo dei dolori assopiti e sopportati con rassegnazione.
Cricio, secondo te chi siede su quella sedia?  

 

-

Non so, Fiammetta, ma sarà sicuramente un filosofo nel profondo del cuore, uno che ammira quello che c’è e lo gode, come chi vive su quel terrazzo tra quei fiori... questi ambienti sono pieni di vita stratificata storicamente, ognuno lascia una sua impronta.

Anche se si vede poca gente e girato l’angolo i turisti spariscono, si sente che la vita c’è quasi immobile da secoli nel suo modo di essere. Mare, aria, sole, acqua e terra strappata al mare su cui stare. Che contrasto con l’angoscia che ho provato nel vedere le opere del Padiglione Italia.
 

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Fiammetta non correre avanti, dobbiamo seguire questo rio!

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Oh scusa, ma il silenzio di queste calli mi attrae e quasi mi dimenticavo che ho fame! Dove andiamo?

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Andiamo di qua e poi so che in una calle sulla sinistra dovremmo trovare una ostaria che ci darà qualcosa da mettere sotto i denti...


Sarà ma il mio stomaco brontola! Se non troviamo qualcosa da mettere sotto i denti alla svelta, mi sa che incomincio a vedere doppio. Che sensazione strana questo muraglione rosso di mattoni lambito dal rio con tutti i barconi ormeggiati, che silenzio... sembra un altro mondo!

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Cricioooo sono stufa di camminare e lo stomaco da segni inequivocabili! Guarda quel bar... ha anche i tavolini esterni, perché non ci sediamo qui e ci facciamo fare qualche panino?

C’è anche un bel giovane al banco, ma questo non lo dico a Cricio, magari si adombra.

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Va bene Fiammetta ci rifaremo questa sera a Cena.


Ci accomodiamo su delle sedie in alluminio, una volta lucenti, forse degli anni ’60, ma qui tutto sembra perdere la nozione del tempo. Qualche circola col ragazzetto del Bar che ha poche cose; dobbiamo accontentarci di qualche toast servito però con un buon prosecco frizzante.

Ci voleva, eravamo ormai affamanti, dopo il primo toast, ne seguono altri, sempre con il prosecchino e, tra una circola e l’altra, l’occhio osserva. Che strano campiello, c’è un lato completamente abbandonato, ma non in rovina, e le altre case ben tenute.

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Guarda Fiammetta quel tabernacolo, hai notato come spesso le case portino i segni della devozione?

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Sì, si trovano spesso tabernacoli, statue di santi, si vede che la fede si è così estrinsecata nel tempo

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Ma anche questa è espressione della vita che l’ha generata, certamente tanti problemi ma ci si affidava ai Santi, alla Madonna anziché urlare il proprio problema. Sai, le opere che abbiamo visto mi hanno scombussolato..

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Sono solo rappresentazioni, perché ti scombussolano?

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Non so, mi sembra che cerchino di sfruttare il brutto per essere apprezzati, per dire qualcosa che faccia colpo, loro forse credono, e c’è chi glielo fa credere, che possano metterti sotto il naso una realtà, una realtà, che loro spesso conoscono solo perché raccontata da altri, e fatta per dare il voltastomaco. Mi sembra essenzialmente uno hobbistico esercizio sadomasochista, un atteggiamento che negli anni ’70 si chiamava “radical chic”.
Non credo che questa sia una buona via dell’espressione: è solo esasperazione mediatica, fuori dalla realtà e di “mestiere”. Una cosa che proprio non mi piace.
Anche quelle ante arrugginite del magazzino, quelle che abbiamo qui di fronte sono una accusa: spazi inutilizzati, dove lo spazio è stato rubato al mare con fatica, segno di attività cessate, forse per la chiusura dell’Arsenale; posti di lavoro persi, aziende forse fallite… un dramma che leggi nella ruggine che corrode le ante di ferro, ma non ti deprimono, al contrario io sento uno stimolo a fare, a ridare vitalità a quello che c’è, senza alterarne la sostanza.

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Non so, tu dici… tu vivi… per me sono solo segno di degrado, però è vero c’è tristezza, non angoscia.

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Alla fine degli anni ’70 a Varsavia, quando ancora Solidarnosc non era nata, mi sono innamorato delle opere grafiche di un allora giovane, Bieganik; mi era piaciuto il suo modo di esprimersi, mi sembrava che descrivesse la realtà della sua Polonia, la stessa che alla fine stavo vivendo io come delegato del governo italiano ad un Congresso ONU. Ho comprato 5 opere, ma quando le ho riviste a casa con calma, mi sono dato dello scemo…

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 Perché non ti piacevano più?

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No, perché non le avevo comprate tutte! Malgrado fossero piacevoli da vedersi, non angosciose, leggendo i particolari, vi ho trovato tutta la tristezza della vita che vedeva il giovane Bieganik, ma riusciva a far passare questa accusa, senza deprimere. Credo che in questo modo la sua testimonianza del “disagio” possa aver avuto diffusione, lasciando il segno, comunicando. Se si usa l’angoscia, solo i masochisti la comprano ed il messaggio resta isolato anche se osannato, perché non è diffuso.

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 Ma un artista esprime quello che sente…

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 Sei così sicura? Certo che dovrebbe credere in quello che fa, ma è decisamente influenzato dall’ambiente che lo circonda, Per vivere deve vendere, o, cosa difficile, trovare un magnate che lo foraggi. La storia dell’arte è piena di questo.

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 Quindi?

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 All’inizio fa quello che sente, e non mangia, poi fa quello che gli chiedono, se è bravo riesce a fondere quello che sente con quello che si vende, poi se diventa famoso si permette di sballare, esagerare, tanto le suo opere sono sempre vendute, perché in molti che comprano non guardano quello che piace a loro, ma il “valore dell’artista”: un acquisto che non verrà mai appeso ad una parete di una sala da pranzo, in uno studio, ma sarà messo in una cassetta di sicurezza per essere venduto quando sarà opportuno.

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 Ma se questo è vero il mercato delle opere d’arte è disgustoso!

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 Come tutto quello che tocca la “finanza”. Si credo che anche qui si siano tante “Leman and broders” che vendono illusioni, contando su un mercato sempre in espansione e non so quanto di quello che abbiamo visto sia la conseguenza di questo: la necessità di sballare, viene dalla necessità di essere diversi.

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Una domanda: ma quel tabernacolo è arte o artigianato?

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Bella domanda, c’è molto artigianato, ma c’è anche arte, un arte semplice forse, ma molto reale e vicina al sentimento della gente.



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