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 Anno V n° 12 DICEMBRE 2009    -   TERZA PAGINA


Parliamo con Silvia Sanna
Perché Fabrizio De Andrè?
La giovane sassarese ha pubblicato un interessante studio sulla figura di Fabrizio De André e ne approfittiamo
Di Cricio



 

Silvia Sanna e... Faber (murales ad Orgosolo)

Ci sono molti cantautori, che non scrivono solo “canzonette”; allora la prima domanda non può che essere: perché De André?
Non ho una risposta tecnica, ma una strettamente personale: la mia professoressa di latino del liceo ci regalava più citazioni di De André che di Cicerone e io, per quel particolare rapporto di amore/odio che si instaura a quindici anni con qualche professore, mi chiedevo cos'avesse mai di eccezionale questo De André. E continuavo a non ascoltarlo, pur essendo curiosa. Poi, una domenica, mi sono imbattuta per caso in una radio che trasmetteva "La guerra di Piero" e sono rimasta folgorata: era forse la prima volta che mi fermavo ad ascoltare una canzone non per la melodia, ma per quello che comunicava a livello testuale ed emozionale. Non sapevo ancora che una canzone potesse essere poesia e l'ho scoperto emozionandomi per la storia di Piero. Ho ascoltato anche altri cantautori, ovviamente, ma Faber è davvero l'unico, per me, che riesce a non dire mai una parola in più o una in meno: è un funambolo dei sentimenti che non inciampa mai..

Cosa dice questo libro su De André, che non è stato già detto?
Sono consapevole del fatto che su De André sia già stato scritto tanto, forse troppo. Il mio libro nasce per una curiosità personale: volevo conoscere il Fabrizio De André lettore, oltre che poeta, interprete e non da ultimo, uomo. Volevo scoprire ciò che ha vissuto, amato e letto. Tessere la trama della sua vita è stato come scrutare all'interno di un'imponente matrioska: ogni sua canzone rimandava ad una poesia o ad un racconto di vita. Per leggere tutto quello che ha letto De André probabilmente mi ci vorrebbero due o tre vite, ma ho provato a scovare, dietro le sue canzoni, gli echi letterari che possono averlo in qualche modo ispirato. E così mi sono accostata ai testi di Edgar Lee Masters, Jorge Amado, Riccardo Mannerini e altri ancora, riconoscendomi in una frase di Dori Ghezzi: "La letteratura, per Fabrizio, è stata come il nonno che non ha mai avuto". Oltre agli echi letterari, nel libro ho voluto dare spazio alle donne protagoniste del canzoniere di "Faber" in tutte le loro sfaccettature (madri, amanti e prostitute), alla visione della morte (quella morale, quella fisica: la guerra, l'omicidio, il suicidio), l'utilizzo della lingua e del dialetto e infine il rapporto con la Sardegna, sua terra d'adozione, che gli ha fatto conoscere quella lingua pura che rende limpide anche le bestemmie.

Quindi Fabrizio De André, che è considerato un maestro per molti, si è a sua volta ispirato a storie già raccontate da altri?
Senz'altro si è ispirato a storie vissute, lette o immaginate. Dietro ogni personaggio raccontato da De André, c'è una storia che assume un determinato valore in base al modo in cui viene raccontata, in base al bagaglio umano di chi la racconta e, soprattutto, in base alla sua sensibilità. Dalle sue storie trapela una profonda conoscenza dell'animo umano: che i personaggi siano realmente esistiti o siano proiezioni letterarie sue o altrui, De André li rende vivi anche da morti, restituisce dignità a chi non ha mai avuto voce o a chi l'ha persa. De André non conosce gerarchie e anzi, le sovverte, mettendo sullo stesso piano derelitti e vincenti, vivi e morti, accarezzandoli con uno sguardo fraterno e riconoscente: sono proprio le anime salve care a Faber, i suoi veri maestri di vita. Senza De André, Marinella sarebbe stata una delle tante ragazze uccise da una mano impietosa: lui invece, con il suo tocco delicato, è riuscito a "reinventarle la vita e addolcirle la morte".

Quale è il rapporto tra la poetica di Fabrizio De Andrè e la vita del mondo in cui ha vissuto?
De André ha vissuto -e per vissuto intendo analizzato, sviscerato, descritto- anche la storia che convenzionalmente ha la S maiuscola. Le assurde rivendicazioni del re medievale Carlo Martello che voleva approfittare di una donna esibendo i suoi titoli nobiliari, la pena di morte per bracconaggio inflitta ai tanti Geordie inglesi che rubavano per fame nel 1500, il massacro degli indiani ai piedi del Fiume Sand Creek da parte dei colonialisti, la vita di Maria madre di Gesù.
A Faber interessavano le storie e gli uomini, indipendentemente dal periodo storico in cui erano vissuti. Certo è che non ha mai perso il contatto con la realtà storica che l'ha visto crescere come uomo e come artista (un vero e proprio cantastorie), affrontando tematiche attuali come la guerra che cambia la vita dello zio paterno Francesco, le rivoluzioni sessantottine, l'alluvione a Genova nel '72, i paradossi carcerari in don Raffaè e quelli politici in La domenica delle salme. De André ha passeggiato nella Storia accanto ai deboli e sempre a testa alta davanti ai potenti.

Cosa avrebbe detto Faber della nostra attuale società?


De André stesso, in un'intervista, dichiarò di non voler produrre dischi al ritmo di una gallina ovaiola, ma di certo non sarebbe rimasto indifferente alla piega che ha preso la società negli ultimi dieci anni. Restando nell'ambito italiano, per esempio, sono certa che la sua geniale ironia ci avrebbe aiutato ad affrontare l'attuale situazione politica con lucidità e, allo stesso tempo, determinazione e un solo concept album non sarebbe bastato per delineare il picco verso il basso che l'Italia sta conoscendo, sotto diversi punti di vista, compreso quello culturale e musicale. De André ci manca, ribadirlo sembra quasi una banalità, ma l'unico modo per farlo rivivere, come ha fatto lui con tanti 'amici fragili', è quello di non chiudere gli occhi davanti ad ogni tipo di ingiustizia e "saper leggere il libro del mondo" in ogni sua forma e colore.



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