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 Anno VI n° 5 MAGGIO 2010    -   TERZA PAGINA


Scopriamo un passato poco conosciuto
Torino “Capitale della Moda”
Scritto per "Moda negli anni Venti - Il guardaroba di una signora torinese" Caraglio, Filatoio Rosso, 19 giugno – 19 settembre 2010


 

Sartoria M. Franco & C./ Torino. Spolverino e particolare . Crêpe georgette di seta beige con inserti pieghettati.Etichetta: “M. Franco & C./ Torino” intessuta in giallo su nastro bianco.1927 circaTorino, proprietà privata

Considerata la “capitale della moda” in Italia, dopo la consacrazione all'Esposizione del 1911, Torino resterà fino alla seconda Guerra Mondiale la sede di una produzione che è stata una delle componenti più rilevanti, ancora poco studiate, nel panorama del mondo del lavoro e della realtà economica e commerciale della città. Si trattò di un fenomeno di eccezionale qualità professionale più che di una creatività specifica, che veniva dichiaratamente lasciata a Parigi, leader universale della moda femminile.

Sartoria torinese.  Abito da giorno e particolare. Crêpe di seta verde mandorla, ricamo di lana bianca e filo argento. Bottoni sferici di metallo traforato. Sottabito del medesimo tessuto. 1926 circa. Torino, Raccolta Istituto Statale d’Arte A. Passoni, Fondo Billotti inv. 607.Dono Associazione Capriglio

Così infatti si esprime la cronaca del tempo, che vedeva in Torino “lo studio assiduo del mondo addetto alla preparazione degli oggetti di moda: gran sarti, modiste, pellicciai.., per rivaleggiare con Londra, Parigi; è un'ambizione magnifica che spinge a sacrifici grandi, e dà al commercio una bella e lucida impronta di professionale dignità”.

Di quel mito, creato e consolidato nell'Esposizione Internazionale tenuta nella città nel 1911 in occasione del Cinquantenario dell'Unità d'Italia, “La Stampa” scriverà: “ Per essere la capitale dell'automobilismo e della moda femminile italiana, per certa rassomiglianza esteriore con Parigi, Torino è cara alle tribù sontuose e raffinate”.

 

Sartoria torinese. Abito da sera. Crêpe rosso con balze e pieghe laterali a rigonfio, pannello fluttuante alle spalle. Piombini all’orlo.1927 circa Torino, proprietà privata

Con i suoi sette milioni di visitatori, l'Esposizione fu un fatto epocale.
Il Palazzo della Moda, realizzato su iniziativa della rivista “La Donna”, il periodico di moda più letto in Italia edito da “La Stampa”, rappresentò l'elemento di maggior attrazione per i visitatori. Un allestimento sontuoso presentava la produzione nazionale, ma soprattutto le ditte e le grandi case di moda francesi, che da tempo avevano un rapporto consolidato con quelle cittadine.
Queste ultime avevano invece un ruolo di protagoniste in uno spazio privilegiato, che ne denunciava l'importanza.

Si celebrava così la storia di un mestiere che, già rilevante nell'economia della città fin dalla fine dell'Ottocento, era andato crescendo nel tempo.
Dopo la crisi post-unitaria, accanto all'avvio di una nuova realtà industriale, allo sfruttamento dell'energia, l'impulso dato all'industria manifatturiera coinvolse particolarmente il campo della produzione tessile e dell'abbigliamento, incrementando attività che erano già rinomate nel Settecento e nell'Ottocento.

Sartoria torinese.Abito da giorno e particolare. Crêpe di seta verde mandorla, ricamo di lana bianca e filo argento. Bottoni sferici di metallo traforato. Sottabito del medesimo tessuto. 1926 circa. Torino, Raccolta Istituto Statale d’Arte A. Passoni, Fondo Billotti inv. 607.Dono Associazione Capriglio

Sorsero negozi di abiti fatti, laboratori di biancheria e maglieria su larga scala, come il maglificio Bevilacqua, che esportava in America latina e nelle colonie inglesi e francesi, negozi e magazzini di abbigliamento diventarono anche rappresentanti a livello nazionale di articoli delle ditte estere.
Il mestiere della sartoria si perfezionò a più livelli, con scuole di taglio e confezione e aziende specializzate, collegate con l'estero, che diffondevano metodi e modelli in tutta Italia. “La Merveilleuse”, fondata nel 1912 e produttrice delle famose “camicette” di Torino, estese la sua produzione agli abiti fatti di qualità, antesignani del prêt-à porter.

Il salto qualitativo coinvolse in particolare è l'alta sartoria per signora, che, all'elevata qualità tecnica, aggiungeva il rapporto diretto e tempestivo con Parigi per l'acquisto di disegni, diritti di copia, modelli da mettere a disposizione delle clienti accanto ai propri.

Sartoria Luisa Martinetto, Torino. Mantello da pomeriggio, particolare e eticchetta della sartoria. Crêpe di seta blu con ricami ad ago di filo di alpaga e filo di lana bianchi a punto croce; profili di filo metallico argentato e semisfere metalliche al collo, alle maniche e all’orlo. Doppiato di crêpe di seta blu e bianca, piombini all’orlo.Etichetta: “Luisa Martinetto/ Torino/ piazza Carignano 2”, intessuta in giallo su nastro nero.1927 – 28Torino, proprietà privata

Ne derivava un gusto competente e raffinato, che richiamava una clientela di élite da tutta Italia, con tanto di manichino personale depositato in sartoria, comprese la regina Margherita e Franca Florio, una delle donne più eleganti e ammirate d'Europa.

Sartoria M. Franco & C., Torino. Abito da sera e Etichetta della Sartoria. Laminato argento, scollo profilato di tulle nero, spalline di nastro argento.Etichetta: “M. Franco & C./ Torino” , intessuta in giallo su nastro bianco.1925 circa.Torino, Raccolta Istituto Statale d’Arte A. Passoni, Fondo Billotti inv.592.Dono Lyon’s Club Torino Cittadella Ducale.

Le grandi case di moda, come De Gaspari, Rosa e Patriarca, Isnardon, Re-Chiantore che si fregiavano del titolo di “Fornitore della Real Casa”, organizzavano sfilate nelle città italiane, con propri corrispondenti sul luogo, imitando il sistema commerciale delle ditte parigine, che a loro volta avevano a Torino i loro corrispondenti e le sedi per le loro sfilate. La loro importanza faceva sì che si giudicasse essenziale in Italia aver fatto un periodo di pratica e apprendistato in un atelier torinese.

Fu perciò un fenomeno portante nell'economia e, parte rilevante, nel mondo del lavoro, con il massiccio impiego di quella manodopera femminile, che diede alla città una fisionomia del tutto particolare, con le sue “sartine”.
Era la nuova identità di una donna lavoratrice, un'operaia che sapeva essere elegante, che aspirava a “mettersi in proprio” e diventare padrona di una sartoria. Erano spinte all'emancipazione e duro lavoro: le sartine, che nel luogo comune erano eleganti come le clienti, che portavano sempre il cappello e flirtavano con gli studenti, erano nella realtà in prevalenza ragazze tra i dodici e i ventun anni, con orari e condizioni di lavoro pesantissimi che portarono a scioperi e inchieste dell'Ispettorato del Lavoro.

Lenci, Torino. Abito infantile. Organza bianca, profili rosa e fiori policromi di feltro (“panno Lenci”).1927.Torino, Raccolta Istituto Statale d’Arte A. Passoni, Fondo Billotti inv. 662.Dono Celestina Billotti, Torino

Torino mantiene ancora negli anni Venti il suo ruolo prestigioso, e mentre la vocazione della città alla modernità si andava costruendo in vari campi, dall'industria alla vita culturale e artistica, le sartorie torinesi conservarono la loro importanza e la capacità di adattare creativamente le grandi novità che stavano rivoluzionando l'abito femminile.
Proposte innovative vennero anche da una nuova cornice espositiva: all'Esposizione del 1928 il Padiglione delle Feste e della Moda, ideato secondo i principi del razionalismo architettonico da Levi Montalcini e Pagano, ospitava vecchie e nuove case torinesi come Rosa e Patriarca, Garda e Bounous, Franco, Gori, Mary Mattè, le Sorelle Gambino.
Anche nuove tipologie di allestimento caratterizzeranno i negozi della nuova via Roma, come la modisteria Borletti, con le grandi vetrine a tutta parete e un nuovo stile di arredo, forse il più moderno di tutta Italia.

Nel periodo fra le due guerre Torino, con altre città che si erano nel frattempo affermate nel panorama della moda, come Firenze, Roma, Napoli e soprattutto Milano, venne inserita negli sforzi del regime per creare una moda nazionale competitiva. Vennero varati provvedimenti protezionistici e supporti istituzionali per una creatività italiana, ma nella realtà delle case di moda il modello parigino restò il costante punto di riferimento da non dichiarare. In forza della sua grande tradizione e del supporto della casa regnante, la città fu scelta nel 1932 per le esposizioni annuali dell'Ente autonomo per la Mostra permanente Nazionale della Moda e nel 1935 divenne sede dell'Ente Nazionale della Moda.



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