REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno VI n° 8 AGOSTO 2010 - TERZA PAGINA Una domanda imbarazzante |
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Provo a ripensare a quale era la vita nella mia prima infanzia.
Una vita culturale direi “intensa per l'epoca”. In cosa consisteva? Oltre alle serate descritte, la vita aveva cadenze precise: al cinema una volta alla settimana e incontro domenicale con tutti i nipoti; raramente qualche spettacolo teatrale, quando c'era qualche compagnia di dilettanti, ancor più raramente qualche concerto. È interessante notare che fino al 1965 non ci fu una stagione di prosa e il Teatro Comunale era riservato esclusivamente alla Lirica, con l'eccezione di qualche concerto di musica classica, mal sopportato dagli amanti della lirica. Il jazz era una musica strana, del diavolo, che non poteva certo contaminare quelle sacre mura. Era disponibile anche un teatro, stranamente di proprietà della Curia, dove c'erano le donnine del varietà, ma quello ovviamente non era visto di buon grado. Questa era la vita di una famiglia “colta”, un’elite; cosa succedeva nella maggior parte delle famiglie? Alla sera c'era poco da fare la radio non era comune e leggere era difficile, una gran parte delle persone era poco alfabetizzata. Nel 1951 il Censimento della popolazione rileva che in Italia, nel suo complesso, il 12,5% della popolazione era analfabeta (ben 5.456.005 persone) e il 76,9 aveva frequentato le elementari, ma più della metà di loro non aveva raggiunto i cinque anni di frequenza, in questi quindi troviamo moltissimi semianalfabeti. La situazione era drammatica nel Sud Italia, ma anche nell’industriosa e ricca Lombardia gli analfabeti erano il 2,7% della popolazione (pari a 158.988 persone) e l'83,9% non era andato oltre la 5° elementare. Quindi la maggior parte della popolazione non sapeva leggere o leggeva a mala pena; anche chi sapeva leggere difficilmente sopportava un romanzo, al massimo leggeva i fotoromanzi, Grand Hotel era quello più elevato. Oggi il fotoromanzo è sostituito dalle telenovelas televisive. Alla sera d'estate le donne scendevano in cortile a ciacolare, d'inverno a letto presto, così si risparmiava sul riscaldamento e sulla luce; gli uomini andavano al Bar a discutere di Coppi o Bartali. Questa era l'attività culturale più diffusa, secondo i miei ricordi. In Città era più facile l'accesso ad eventi culturali ed allo scambio di opinioni, ma nei paesi la cosa diventava difficile. L'analfabetismo ancora diffuso e la mancanza di mezzi di comunicazione rendevano difficile tutto; centro di cultura era l'oratorio, dove c'era il piccolo teatro in cui veniva proiettato un film alla domenica e dove si tenevano spettacoli teatrali, sempre di compagnie dilettantesche, spesso in dialetto. Chi aveva un diploma di scuola media o professionale era già ad un livello elevato. Negli anni '50 l'arrivo della Televisione e il reddito maggiore hanno cambiato il modo di vita. Nei primi anni pochi possedevano la TV; questi pochi “facevano salotto” attorno al nuovo aggeggio. Chi non aveva nessuno da cui andare, poteva trovare nei bar e nei caffè una sala riservata per la TV (per fortuna c'era solo un canale e non erano possibili discussioni). Malgrado questa ridotta diffusione degli apparecchi televisivi, la Tv cambiò il modo di vivere della popolazione. Portò quasi ovunque uno stile di riferimento a cui fare riferimento e un linguaggio unico: unì l'Italia. Quello che non aveva fatto in un secolo la scuola lo fece in pochi anni la TV. Ho un ricordo molto preciso delle donne dei paesi. Fino alla fine degli anni '50 vestivano comunemente con un grembiule, a colori per le ragazze e scuro per le donne sposate e non usavano le scarpe, ma gli zoccoli di legno dopo l'arrivo della TV le giovani iniziarono a indossare abiti come quelle delle città. Nello stesso tempo il maggior reddito a disposizione creò nuove opportunità. L'auto e la moto permettevano di andare lontano, di vedere luoghi diversi con altre abitudini, di conoscere e toccare con mano cose viste in TV. L'aumentato reddito indusse anche un fenomeno particolare: in certi ceti medio bassi, ma con desiderio di affrancamento, i ragazzi andavano presto a lavorare, spinti dai genitori, ma le femmine proseguivano negli studi, spesso fino al diploma (maestra o ragioniera) per trovare lavoro “in comune” o tenere la contabilità della piccola azienda paterna. Su questi cambiamenti importanti si innesta nel 1962 la riforma Bosco con la creazione della scuola media unificata (fino ad allora la scuola media era riservata a quelli che proseguivano gli studi) e con l'elevazione dell'obbligo scolastico a 14 anni. Oggi il fenomeno dell'analfabetismo in Italia è ridotto a solo 782.342 persone e quelle che hanno un titolo superiore (diploma o laurea) sono ben il 33% della popolazione. (vedi tabella a fine articolo). Se questi sono i dati sul livello dell'istruzione e della dispersione scolastica, anche si possono fare considerazioni negative sulla qualità scolastica attuale, è ben difficile poter sostenere che c'è meno cultura oggi di ieri. Si deve anche tenere conte che, oltre alla maggior diffusione della formazione scolastica vi è anche un’indubbia facilità a trovare conoscenze, che viaggia in internet lo sa bene e l'offerta culturale si e enorme rispetto agli anni '50. Una conferma ci viene anche dalla diffusione del libro, nel 2000 il 97,4% degli italiani leggeva almeno un libro all'anno. Ricordiamo che nel 1951 c'era il 13,95% di analfabeti e oltre il 30% era semi analfabeta. Certo la cultura è cambiata. Innanzitutto è aumentata a dismisura la cultura “facile”, ma non possiamo non ricordare che avere cultura è un patrimonio che viene essenzialmente dall'ambiente della famiglia; la scuola può dare nozioni culturali, ma con difficoltà riesce a trasmettere le abitudini. Ma per formare un patrimonio culturale di famiglia occorre che passi qualche generazione. Questo spiega perché la gran massa delle persone desideri cose “facili”, definire questo “incultura” è sbagliato, si tratta di una cultura diversa da quella che qualcuno indica arbitrariamente con la “c” maiuscola. Gli operatori culturali, che sono spesso volontari di associazioni, si lamentano della bassa partecipazione della gente agli eventi che loro organizzano. Quale è il motivo di questa bassa presenza lo approfondiremo nel prossimo articolo. Ora mi limito a ricordare un'osservazione fatta in una conferenza su Dante Alighieri nel maggio scorso dalla Professoressa Claudia Villa, Preside della Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università di Bergamo. La professoressa ha espresso meraviglia della popolarità delle “lectura Dantis”, quando gli scritti di Dante Alighieri sono considerati dai critici particolarmente difficili. La stessa conferenziera si chiese se questo non fosse più che altro una moda. È certo che la moda, spesso abbia il sopravvento nella scelta di partecipare o no ad eventi culturali anche se non solo questo sta alla base delle scelte delle persone subissate da una grandissima offerta culturale.
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