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 Anno VII n° 3 MARZO 2011    -   LENTE DI INGRADIMENTO



Italia oggi, Europa domani?
Il problema meridionale e il problema settentrionale, sono reali come reale è la mancanza di una vera Europa. Ecco i problemi che dovremmo affrontare
Di Giacomo Nigro


italiani. Questa parola è diventata parte di un lessico dell'ostilità, mentre in apparenza è parola di unione, se non addirittura di fratellanza, secondo le parole dell'inno nazionale. Sempre più spesso la si pronuncia in contesti che le attribuiscono un sottinteso polemico: in un caso, per così dire, per eccesso e in un altro per difetto di "italianità. C'è un partito che dal suo capo è stato definito "partito degli italiani", con un'espressione che contiene un ossimoro: partito è per definizione una parte; italiani dovrebbe significare il tutto. Lo stesso soggetto, che è anche Presidente del Consiglio, non esita ad autoqualificarsi rappresentante degli italiani, nel loro insieme. Queste sono usurpazioni tollerate, anzi nemmeno percepite, come non significassero nulla. ” Comincio con questa citazione di Gustavo Zagrebelsky, tratta dal suo libro "Sulla lingua del tempo presente" (Giulio Einaudi Editore - Torino 2010) per dire la mia sull'Unità d'Italia, i cui 150 anni ci accingiamo a festeggiare a partire dal 17 marzo.

Dal mio punto di vista , anzi dai miei punti di vista, tenuto conto che ho vissuto sia al sud che al nord del Paese, per festeggiare bene e non cogliere invece l'occasione per determinare ulteriori divisioni, occorre tener conto delle ragioni di tutti.
La storia è storia e non la si può nè negare nè piegare al proprio tornaconto. È il caso di ricordare che la Lega, aldilà del folklore di cui si ammanta periodicamente, ha alla sua origine un'esigenza economica, se non condivisibile, comprensibile. Essa, ai suoi prodromi, andò a rappresentare le piccolissime e piccole realtà imprenditoriali dell'industrioso nord che si vedevano stritolate fra i privilegi della grande industria (peraltro, spesso, loro diretta datrice di commesse e lavoro) e l'esosità dello Stato. Per fare ascoltare la sua voce la Lega scelse il metodo dello scontro: il nord paga le tasse, il sud si mangia le tasse perché non lavora, dimenticando che il lavoro al sud spesso non emerge dalle statistiche a causa dello storico ricorso al lavoro "nero". Meglio sarebbe stato, per la legittimità di quel movimento, che avesse semplicemente perorato la propria causa, sicuramente non avrebbe imbarcato le varie tendenze xenofobe in passato contro i "terroni", oggi contro i clandestini o extracomunitari tout court. Oggi quel movimento è al governo e fa opposizione in contemporanea, un classico all'italiana: un colpo al cerchio e uno alla botte.

Questo in una democrazia matura non dovrebbe accadere, sarebbe ora di pensare, oltre che alle giuste celebrazioni dell'Unità d'Italia, al consolidamento della stessa con una politica economica veramente nazionale, che tenga conto delle differenze per appianarle e non per esasperarle.

Una politica nazionale oggi vuol dire, secondo me, una politica europea che porti alla realizzazione di un’Europa unita economicamente, al di là della moneta unica che da sola non basta ad unificare. Un’Europa che sia in grado di contare in un mondo globalizzato, dominato dagli USA e dalle emergenti Cina e India. Invece che facciamo noi?
Pensiamo al passato solo in termini di campanile, lasciando che tutto continui immutato con mafie e Confindustria a dettare la danza. Molti de miei conterranei del Sud nei mesi di avvicinamento ai festeggiamenti dell'Unità d'Italia si sono riscoperti nostalgici borbonici se non neo-briganti, intesi come patrioti difensori dello status quo, interrotto in maniera violenta dalla conquista piemontese. A ben pensare non c'è molta differenza fra un leghista-garibaldino (la bergamasca, ad esempio, è contemporaneamente terra di lega e discendeanza garibaldina) e un neo-brigante, entrambi sono nostalgici di un mondo che non può più tornare e prigionieri di un'idea di dissoluzione di quanto creato con l'unità nazionale senza la proposta di un'alternativa valida e percorribile.

Siamo fermi all'Italia del Libro Cuore, guai a chi la tocca, è come la mamma. Ma nel cuore di quel libro c'era una speranza di riscatto per le classi meno agiate ed un progetto complessivo di "partecipazione" alla costruzione di uno Stato Unitario. In fondo è tutto qui l'aspetto democratico di tutta la vicenda risorgimentale. Quel testo deamicisiano, che avremmo potuto considerare come il manuale d'uso per l'Italia unitaria è rimasto solo e soltanto un libro di buoni sentimenti e buone intenzioni, quasi una favola.
Anche la nostra Costituzione Repubblicana, nata dalla Resistenza, come da un secondo risorgimento, rischia di restare una bella favola, se l'accesso al consiglio regionale o addirittura al parlamento nazionale è demandato alla scelta di pochi, certificata dal nostro voto svuotato del suo significato di scelta appunto…



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