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Anno VII n° 11 NOVEMBRE 2011 - TERZA PAGINA Considerazioni sul mondo fiabesco e quello reale |
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Tutti, specialmente da adolescenti, abbiamo avvertito l’irrefrenabile voglia di rivoluzione. Ma per cambiare il mondo, bisogna prima riuscire ad immaginarlo diverso, perché non si può combattere per qualcosa che non ha mai preso forma nei nostri pensieri.
Le fiabe nascondono un senso profondo, ma non sempre è noto che nelle loro trame siano contenute delle vere e proprie denunce sociali. I protagonisti sono degli eroi, che si scagliano contro i mostri della povertà, dell’ingiustizia, della schiavitù. La stessa Cenerentola, ad esempio, lungi dall’essere una sciocchina in cerca di marito, nella versione originale della fiaba è una donnina sveglia e combattiva. Non s’arrende dinanzi al dolore, soffre ma reagisce, in maniera forte e dignitosa, partendo dal desiderio, vera forza trainante. Nelle fiabe solitamente è il cibo a rappresentare l’elemento essenziale su cui basarsi per denunciare soprusi, ineguaglianze, ingiustizie. Questo perché concretamente, quotidianamente e simbolicamente, il cibo sta per sé e per altro, si impasta con significati che hanno a che fare con vita-morte, amore-odio, desiderio-rifiuto, pieno-vuoto. Il rapporto della fiaba con il cibo è costante: non ci sono quasi fiabe dove non si consumi cibo, dove non si parli di cose da mangiare. Nelle fiabe, in tempi di fame diffusa e di mai risolta iniqua redistribuzione, il cibo conta, perché manca e perché miracolosamente arriva, perché sparisce e perché si moltiplica, perché è poco ma si può dividere, perché chi ne ha tanto lo tiene per sé, perché è il chiaro oggetto del desiderio.
Dei famosi tre desideri fiabeschi, uno, spesso il primo, è qualcosa da mangiare, e non necessariamente rare squisitezze ma cibo per tutti i giorni, pane, polenta, farinata, minestra, zuppa. Il cibo è premio, festa, tranello, prova, incantesimo e la bocca è luogo di conoscenza, esperienza, comunicazione. Riflettendoci, è proprio così. Il modo in cui ci alimentiamo ci dice quanto siamo liberi, quanto la nostra dignità sia salva o in pericolo. Sarebbe il caso di chiederci, oggi, come mangiamo? Come nutriamo i nostri bambini? Cibo e infanzia costituiscono un binomio ricco di significati e di valenze non solo dal punto di vista della nutrizione del corpo ma, anche, sul piano della crescita emotiva e affettiva. Un dato interessante è la sempre più diffusa possibilità, per i bambini, di divenire soggetti attivi nella scelta, anche d’acquisto, dei prodotti alimentari. La centralità del bambino, l’ascolto delle sue opinioni e delle sue richieste è certamente una conquista dei nostri tempi. Conquista che però rischia di sfociare in un eccessivo protagonismo, che trasforma i bambini in precoci ometti o in piccoli tiranni. I piccoli esprimono molte cose (stati d’animo, bisogni, emozioni…) attraverso le loro abitudini alimentari.
Spesso, i cibi raccontano il bisogno dei grandi di risarcire i piccoli con zuccheri e calorie tese a sostituire carezze e calore affettivo. I bambini, a loro volta, pretendono ricompense sotto forma di cibo perché ingurgitare può placare per un attimo l’ansia e “colmare” vuoti.
Nella storia, il rapporto con il cibo è stato sempre rivelatore di grandi realtà sociali. Ed è proprio questo che le fiabe ci raccontano: il cibo come comunicazione e come segnale di ingiustizie e disuguaglianze contro cui lottare. Ne sono esempi importanti: “Pollicino”, una storia che denuncia apertamente il cannibalismo praticato nelle campagne sperdute, e “Hansel e Gretel” che denuncia le conseguenze terribili della fame causata da povertà. Ma una fiaba in particolare mi è sempre stata molto a cuore per il modo esplicito e al tempo stesso poetico con cui denuncia le diseguaglianzi sociali, l’indifferenza, l’apatia e l’egoismo che imperano nella società post industriale: “La piccola fiammiferaia” di Andersen. La trama inizia descrivendo le condizioni meteorologiche terribili: neve, freddo, oscurità. La protagonista è una bambina povera, malvestita. E’ la sera dell’ultimo dell’anno, un giorno di festa che accentua la sensazione di solitudine. La bambina desidera e sogna la festa. La piccola perde le sue calzature per colpa di alcuni carri che le passano accanto ad alta velocità. Dunque siamo in una città, luogo dove tutti sono anonimi, frettolosi. Ma la premura è stretta alleata dell’indifferenza. La bambina dei fiammiferi è relegata ai margini, nessuno la nota, nessuno la considera. E’ uno di quegli esseri umani che i benestanti sfiorano, senza mai voltarsi, senza farsi domande. La casa della protagonista è senza vetri, con un tetto misero, nella periferia della città. Eppure la piccola fiammiferaia desidera tornare a casa, ma non può farlo, perché teme di essere picchiata se si presenta senza denaro. Ecco la denuncia di questa fiaba: il mondo soggiace alla logica del denaro. Il mondo intorno alla fiammiferaia non ha rispetto per la vita, neanche per quella di una bambina. E’ un mondo che proibisce sogni: la bambina accende i fiammiferi uno ad uno per poter almeno immaginare, ma questo gesto la condannerà alla morte. I sogni ad occhi aperti che fa con l’aiuto dei fiammiferi, sono molto indicativi. Vede una tavola imbandita, cibo delizioso, un albero di Natale ben addobbato. Le descrizioni assai particolareggiate di Andersen contengono un’idea-denuncia: il bisogno primario dell’uomo è l’alimentazione. Nessuno può tollerare che questo bisogno non venga soddisfatto sempre. I bambini hanno il diritto di sognare e di ricevere doni da Babbo Natale. La povertà nega anche questo diritto. La denuncia finale di Andersen è chiara: “«Ha voluto scaldarsi» commenta qualche passante, anonimamente. In fondo per i passanti la fiammiferaia è una creatura predestinata, è normale che abbia sofferto e che sia finita così. Ma le fiabe non accettano mai la “normalità”, sono un continuo inno al cambiamento, alla ribellione contro ciò che opprime, fosse anche la più “normale” delle abitudini. Esistono rivoluzionari che impiegano ore, giorni, mesi per stilare manifesti che incitino i popoli alla lotta… basterebbe prendersi il tempo di rileggere le fiabe, nella loro versione originale (evitando quelle edulcorate che sono in circolazione adesso) per sentire la nostra coscienza risvegliarsi. Partendo proprio dal cibo, l’elemento più semplice e scontato, le fiabe ci svelano le ingiustizie, fino a farci avvertire il disgusto per quel che accade intorno a noi. Torniamo a leggerle, anche noi adulti, sono attualissime, ci farà solo bene. Riflettiamo: il cibo in realtà ci viene sottratto ogni giorno, ancora oggi. Nel Nord del mondo ci viene sottratto nel momento in cui lo consumiamo senza conoscerne la storia o quando il lavoro ci impedisce di consumarlo lentamente, insieme ai nostri cari. Nel Sud del mondo il cibo ci viene sottratto quando le industrie impongono cosa consumare e cosa coltivare… Nessuno può dirsi al sicuro, ormai. Riprendiamoci quello che è necessario alla nostra dignità. Il tempo di mangiare insieme, la possibilità di sapere da dove arriva il nostro cibo, la generosità di condividerlo, l’opportunità di far festa, la speranza di riuscire a comunicare tutti meglio fra di noi, anche senza usare fiumi di parole. Risvegliare le coscienze per immaginare un mondo migliore è il compito principale delle fiabe, lasciamo che lo svolgano, leggiamole. Rosa Tiziana Bruno è una affermata scrittrice di fiabe. Il suo ultimo libero “La Pasticceria Zitti” è uscito nei primi giorni di Novembre. (vedi la recensione….. )
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