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 Anno VIII n° 1 GENNAIO 2012    -   TERZA PAGINA



La sacralità dell’arte di Wildt
Approfondimento per la mostra:“Adolfo Wildt L’anima e le forme da Michelangelo a Klimt” a Forlì


Adolfo Wildt, Luminaria, 1925, matita e carbone su carta, cm. 90x131. Milano, Courtesy of Galleria Daniela Balzaretti
Nel 1916 il filosofo Georg Simmel si occupa dell’artista, all’interno di un complesso saggio di interpretazione della pittura di Rembrandt, non a caso interamente basato sui concetti di “anima” e di “forma”, gli stessi che danno il titolo al saggio di Lukàcs (1911) da cui poi deriva anche il titolo di questa esposizione. Come vedremo si tratta di un dualismo che pervade tutta la cultura tedesca di questo periodo, e che arriva in Italia realmente solo con l’opera di Pirandello, che si forma in Germania e conosce bene il pensiero di Simmel. E non a caso Pirandello è uno scrittore che può servirci per capire meglio l’uscita di Wildt dalla sfera simbolista, troppo angusta per il suo continuo sperimentare.

Secondo Paola Mola, tra i curatori della mostra forlivese, l’esperienza artistica di Wildt è diretta a restituire alla scultura “una sacralità e un’eloquenza nuove”. L’idea di sacralità è da porre in correlazione proprio con la scelta formale grazie alla quale lo scultore si distacca dai suoi modelli e dai contemporanei.

Quando parla di Rembrandt, paragonandolo a Michelangelo e a Rodin, Simmel introduce l’opposizione tra i concetti di “forma” e quello di “vita”. La forma è fuori dal tempo, la vita immersa nel tempo. La forma è priva di forza, la vita coincide con la forza. Sulla stessa lunghezza d’onda si muove inizialmente anche il suo discepolo Lukàcs.

Nel ritratto classico, l’artista estrae dalla vita un determinato fenomeno e gli dona un’esistenza propria, quell’esistenza che diventa espressione spirituale definitiva, connessa alla qualità del fenomeno corporeo. La vita produce una forma e poi la abbandona a se stessa.
In Rembrandt la forma compare solo come “il momento di volta in volta presente della vita”: è il momento casuale con cui l’essenza dell’individuo, che è immerso nel divenire, si manifesta all’esterno.
In Michelangelo invece le figure, malgrado la loro perfezione formale, subiscono una scossa interna che deriva dalla presenza della vita e del destino, che sembrano attraversarle. La forma individuale è solo “un recipiente o un simbolo” della vita dell’intera umanità. Proprio per questo le figure di Michelangelo sembrano mancare di libertà: “il destino e la vita, in quanto non appartengono unicamente a loro ma all’umanità in generale, le opprimono; vorrebbero difendersene e liberarsene, ma non possono, poiché in questo tuttavia consiste la loro essenza, l’essenza dell’umano – una contraddizione concettuale, certo, un’incomparabilità logica con cui però si esprime forse la tragicità inconciliabile di queste figure”. Questa è la ragione per cui in Michelangelo si ha l’impressione che l’individuo si dilati al di là della propria limitatezza.

Adolfo Wildt, Monumento funebre ad Aroldo Bonzagni, 1919, marmo, h. cm. 203. Cento, Galleria d’Arte Moderna Aroldo Bonzagni
Queste idee possono, in vario modo, aver agito anche nelle concezioni di Wildt. Potrebbero essergli arrivate attraverso la mediazione di Franz Rose, che come sappiamo lo aveva anche messo in rapporto con lo stesso Simmel. Ma così credo che si possa anche spiegare meglio perché Wildt sembra essere all’incrocio di esperienze tanto diverse quanto tra loro apparentemente inconciliabili: il gotico e il barocco, il classicismo e il manierismo, l’espressionismo e il simbolismo, il simbolismo visionario e la metafisica. Potremmo considerare Wildt uno sperimentatore ossessionato dal rapporto tra vita e forme, e spinto dal desiderio di realizzare opere che di volta in volta cercano una soluzione diversa, ma coerente, all’interno di questo rapporto.



Wildt anticipa Avatar e Guerre Stellari

Adolfo Wildt, Monumento funebre ad Aroldo Bonzagni, 1919, marmo, h. cm. 203. Cento, Galleria d’Arte Moderna Aroldo Bonzagni
È sorprendente e del tutto innovativo guardare oggi alle opere di Wildt e scoprire analogie con certi corpi e volti presenti nei grandi film fantasy e fantascientifici, nelle saghe popolari di “Guerre Stellari”, de “Il Signore degli Anelli” o nel più recente “Avatar”. Se sentiamo nel monumento funebre a Cesare Sarfatti il fantasma di Darth Vader, o nel Rosario i corpi filiformi degli alieni; e se vediamo nella testa della Concezione una nobilitata Madre di E.T. ci rendiamo conto della straordinaria post-modernità di Wildt.

Le sculture realizzate nel 1921 per Carmela ed Ezio Boschi sono uno stupefacente trasferimento moderno della Pietà Rondanini, ma la donna nella navetta a lato è anche l’antenata d’oro di Neytiri, modellata in 3D dagli effetti speciali di James Cameron.

Si tratta di forme che nascono tutte dall’immaginazione di altri mondi poste più avanti e più vicino alle origini del nostro, così che in Wildt il medioevo gotico si salda misteriosamente a quel medioevo prossimo venturo che sentiamo imminente.


Vedi la presentazione della mostra:
WILDT. L’anima e le forme tra Michelangelo e Klimt
Forlì, Musei San Domenico, dal 28 gennaio al 17 giugno 2012 



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