REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI AREZZO IL 9/6/2005 N 8 |
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Anno II n° 14 del 20/07/2006 - TERZA PAGINA Ancora in ‘missione’ con Testa Rossa nelle terre del drago |
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Il vicolo che abbiamo preso termina in una minuscola piazza con ancora un monumento... questo paese vuole mantenere la traccia della storia che lo ha attraversato. Da lì una pista ciclabile scende all’Adda, ma è chiusa per pericolo di frana. Quando torno non trovo più Testa Rossa dove sarà finita? Chiamo... non risponde. A fianco del monumento c’è una scaletta nascosta tra il verde ed i fiori, da l’impressione che vada ad una casa, ma sono convinto che Testa Rossa sia scesa da quella e così mi addentro. La scaletta finisce sul greto dell’Adda ed ecco lì la mia compagna di avventura: l’ho ritrovata! L’Adda si snoda imponente e scintillante, in lontananza dei giovani giocano nell’acqua vicino alla riva. Dove siamo noi c’era il porto del traghetto che congiungeva le due sponde. Oggi lì sulla riva, ad un piccolo pontile, sono ormeggiate solo tre lance e il traghetto è stato sistemato in un parco a pochi in un boschetto come ricordo, il suo compito è svolto da un moderno ponte. La struttura possente del traghetto riposa all’ombra dei pioppi della riva, come un astronave abbandonata, i pochi macchinari arrugginiti fanno ancora mostra di quanto lavoro hanno svolto per queste popolazioni, quando per anni hanno permesso i traffici fra le due rive. Per secoli le rive del fiume sono state al centro della vita di questi luoghi; ci ha raccontato un simpatico abitante di Crotta che ancora oggi nel “giorni della merla”, a cavallo tra gennaio e febbraio, qui si svolgono i tradizionali riti propiziatori, con i falò sulle rive e bruciando la “vecchia”, simbolo delle cose non andate bene nell’anno passato, e gli abitanti alternantosi da una parte all’altra della riva si rincorrono con canti. Mentre risaliamo verso il paese vediamo, sempre all’ombra del bosco rado e ben tenuto, un parco giochi. Bellissimo, semplice come tutto qui, ma è proprio la sua collocazione tra gli alberi che lo rende piacevole e particolare. Una caratteristica che noto è la “conservazione dei simboli”. Sui muri di una casa rurale ne troviamo un'esposizione, sono attrezzi in ferro arrugginito del lavoro dei campo attrezzi sportivi: pinne in gomma, maschere da sub, sci. Poco più avanti, ai piedi di una casa appena restaurata, appaiono due pietre indicatorie forse di confine o di direzione. Poi una fontanella per l’acqua in ghisa. Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è stata la trattoria in cui siamo entrati per cenare. A sinistra un bancone antico in legno di noce e marmo, con alle spalle la credenza con vetri lavorati e ripiani su ci stanno le bottiglie. I rubinetti nichelati anche loro dell’epoca del bancone a destra i tavoli lunghi delle antiche trattorie con gli spigoli arrotondati e le gambe tornite. Tra i tavoli al centro della parete un gigantesco camino, con tutti gli attrezzi e le “macchine” per il controllo del tiraggio. Ci si aspetta da un momento all’altro che entri l’ostessa con uno spiedo da mettere sul fuoco scoppiettante, ma forse fa troppo caldo ora per un fuoco scoppiettante. L’ostessa comunque entra in un grembiulone grigio e camicetta a quadrettini: capelli raccolti e viso sorridente completano questo scorcio d’altri tempi. Ecco un paese moderno, ma nello stesso tempo antico. Forse la spiegazione è in quello che ci hanno detto due abitanti. Hanno parlato di quanto desiderio vi sia di riportare la tradizione popolare. Di conservare, e di esaltare. Di evitare che i buoni prodotti tipici vengano considerati di basso o nullo interesse e siano saltati dimenticati dalle nuove generazioni. Testa Rossa definisce questo paese con “Conservare, per ricordare” io aggiungo “vivendolo”. Le foto sono di Serena Bertolgiatti e Giovanni Gelmini - ©vietata riproduzione
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