I racconti di Primo Levi mi stimolano sempre delle riflessioni sul mondo di oggi. Questo credo sia legato al fatto che Levi lavora sulla “psicologia sociale” e quindi i suoi racconti trovano riscontro anche in temi e ambienti diversi, perché l’uomo non cambia mai, almeno così io credo.
Levi inizia il racconto con un'affermazione precisa: “ A base della mia coscienza e sensibilità di verniciaio proibirei la vendita di quelle fantastiche bombolette che spruzzano smalto alla nitrocellulosa e servono a ritoccare le carrozzerie danneggiate - prosegue poi - Ma non mi pare ammissibile che sia consentito il loro uso per scrivere sui muri. I nostri nonni dicevano che ‘la muraglia è la carta della canaglia’, e forse questa è una generalizzazione troppo severa. Si possono immaginare, anzi, esistono senza dubbio, stati d'animo individuali o collettivi davanti a cui ogni giudizio sul lecito e l'illecito deve restare sospeso, ma questo vale appunto, per condizioni estreme, tempestose, extraordinarie: allora tutte le regole vengono travolte, e non solo si scrive sui muri, ma si fanno le barricate.
Il suo ragionamento si sofferma sul filo storico: “Prima dell'era delle bombolette, scrivere sui muri era un'impresa di certo impegno. Andare per strada col secchiello della vernice, la pennellessa che sgocciola, e il solvente per lavare la pennellessa, è faticoso e scomodo, specie se di notte; richiede un' attrezzatura vistosa e ingombrante, che si presta male ad operazioni tendenzialmente clandestine ed intralcia le fughe, sporca le mani e gli abiti, il che, oltre a tutto, rende identificabili gli operatori; infine, richiede anche un minimo di abilità manuale, se non si vogliono mettere alla luce scritte deformi, e quindi autolesive. Insomma, è un' attività che non si intraprende senza una motivazione forte, come è giusto che sia: non è bene che si arrivi in cima al Cervino, o si scolpisca una statua, o si cucini una cena, senza una certa fatica. I frutti gratis non erano buoni, come è noto, neppure nel Paradiso Terrestre; nella nostra condizione terrestre attuale, che non è più paradisiaca, conducono ad un nocivo appiattimento dei valori e dei giudizi, e ad una proliferazione di manufatti che, se non proprio nociva, è almeno fastidiosa.”
Secondo Levi, quindi, il diffondersi dell'abitudine di scrivere sui muri cose più o meno insulse, come “SARA TI AMO”, è legato alla facilità con cui questo può avvenire: una bomboletta di vernice, magari trovata nel garage di casa, fa scattare la voglia di lasciare un segno di se stessi, o di scaricare la propria insoddisfazione su un muro, su una pietra o, peggio, su una lapide, su un monumento. Come dice Levi, raramente queste scritte sono in grado di suscitare interesse o ilarità; in genere rappresentano solo lo spirito di chi le ha scritte e il giudizio che si può trarre da queste opere in genere è abbastanza negativo. Solo qualche volta strappano almeno il sorriso, come una scritta che ho trovato a Venezia nel 2006: Cercasi Papa disponibile
da subito.
Levi, attraverso il racconto, quasi un'indagine da Sherlock Holmes, alla ricerca di chi avesse fatto delle croci uncinate sui paracarri di una strada con uno spray verde, ci illustra quella che ritiene la tipologia del writer negli anni ’70: giovane, non troppo intelligente, “ uno studente… "di buona famiglia", emotivamente instabile, introverso, tendente alla sopraffazione ed alla violenza ”. La sua indagine lo porta a scoprire il colpevole, figlio di “ un assicuratore, buongustaio e bellimbusto, un po' fanfarone, scettico e credulone insieme, maldicente più per leggerezza che per malvagità ” e il figlio è un quindicenne “ neppure un introverso tipico, perché parla parecchio: è piuttosto un lamentoso, uno di quelli che tendono a vedere il mondo come una vasta rete di cospirazioni al loro danno, e se stessi al centro del mondo, esposti a tutti i soprusi ”. È profondamente insicuro, insoddisfatto di sé, non si occupa di politica, con la scuola che non va e lasciato dalla ragazza, con l’idea di fare il magistrato “... così, per fare giustizia. Perché la gente paghi; ognuno paghi i suoi conti ”. Questo è il writer scoperto da Levi. E lo scrittore verniciaio chiude il racconto con alcune riflessioni.
“Pensavo anche alla essenziale ambiguità dei messaggi che ognuno di noi si lascia dietro, dalla nascita alla morte, ed alla nostra incapacità profonda di ricostruire una persona attraverso di essi, l'uomo che vive a partire dall'uomo che scrive: chiunque scriva, anche se solo sui muri, scrive in un codice che è solo suo, e che gli altri non conoscono; anche chi parla.
Trasmettere in chiaro, esprimere, esprimersi e rendersi espliciti, è di pochi: alcuni potrebbero e non vogliono, altri vorrebbero e non sanno, la maggior parte né vogliono né sanno.
Ma pensavo anche alla misconosciuta forza dei deboli, dei disadatti: nel nostro mondo instabile, un fallimento, anche un risibile fallimento come quello di Piero quindicenne rimandato a ottobre e piantato dalla ragazza, ne può provocare altri, a catena; una frustrazione, altre frustrazioni.
Pensavo a quanto è sgradevole aiutare gli uomini sgradevoli, che sono i più bisognosi d'aiuto; e pensavo infine alle migliaia di altre scritte sui muri italiani, dilavate dalle piogge e dai soli di quarant'anni, spesso sforacchiate dalla guerra che avevano contribuito a scatenare, eppure ancora leggibili, grazie alla viziosa pervicacia delle vernici e dei cadaveri, che si corrompono in breve, ma le cui spoglie ultime durano macabre in eterno: scritte tragicamente ironiche, eppure forse ancora capaci di suscitare errori dal loro errore, e naufragi dal loro naufragio.”
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| Microbo Senza titolo, 2006 realizzato per More project (Fiera del gioiello), Milano Acrilici su tela 18 x 3 m |
Molti decenni sono passati da quando Levi ha scritto queste cose.
Una parte del mondo dei writer ha dimostrato di essere composto non da semplici imbrattatori e alcuni di loro si sono affermati come artisti di primo piano al punto che il PAC, sotto la spinta dell’assessore Sgarbi, ha dedicato loro una mostra (Street art, sweet art - Dalla cultura hip hop alla generazione “pop up” per non parlar del Leonka in Spaziodi Magazine Anno III n°3 - MARZO 2007); altri vengono chiamati a “imbrattare” i muri di cemento grigio per dare colore alla città o decorare locali di ritrovo e negozi, ma questi restano comunque casi “che confermano la regola”.
È di questi giorni la notizia che il giudice di pace di Milano ha condannato due writer di 22 e 29 anni a ripulire il muro della scuola che avevano imbrattato oltre al pagamento di circa 400€ per i materiali e la supervisione dell’Amsa ed al pagamento di 1000€ al comune come risarcimento per danno all'immagine.
Servirà questa condanna?
Difficile dirlo, ma questa non sarà l’unica condanna; sono attese altre condanne e la cosa che potrebbe fare specie è l’età delle persone sotto processo. Se i due non si possono chiamare “giovani”, nei prossimi processi ne troviamo di più vecchi, anche superiori ai 50 anni.
Recentemente si è manifestato un altro tipo di writer: l’imbrattatore nella rete e a questa tipologia raramente appartengono giovani. Per imbrattatori in rete non intendo ovviamente chi apre un blog (o altro) e scrive quello che ritiene opportuno, questa è una libertà che credo sia da difendere, ma chi va a scrivere sui blog altrui frasi senza alcuna ragione.
C’è una grande quantità di persone che passa il tempo scrivendo sul più gran numero possibile di blog commenti del tipo: “un saluto carissimo”o “buona domenica” e questa risulta la sua unica attività letteraria, distribuita a destra e a manca a tutti, anche a sconosciuti. Altri fanno il copia e incolla di cose altrui e riempiono i commenti di immagini catturate abusivamente qua e là.
In fine ci sono due categorie tra le più abbiette: quella che scrive come commenti la pubblicità per la propria attività economica e quelli che si dilettano nell’insultare. Queste tipologie sembrano avallare la teoria di Primo Levi: la facilità dello strumento induce il suo uso e credo di notare che spesso il primo tipo di network-writer è composto quasi esclusivamente da donne non giovani, spinte forse dalla solitudine, dalla mancanza di affetti in una famiglia ormai invecchiata.
Cercando di arrivare ad una conclusione, ci si accorge che il tipo di writer descritto da Levi è forse ora sorpassato. Penso che tutti noi in un momento particolare abbiano scritto da qualche parte su un muro o inciso su un albero: “ti amo”, ma spesso in posti nascosti, poco visibili, perché, se da una parte sentivamo il bisogno di esternare la nostrao condizione, poi sentivamo la necessità di non essere riprovati.
Ai writer manca invece il rispetto della cosa altrui. La loro esigenza di esternare è supportata dal desiderio di approvazione da
parte dei compagni e di lasciare un segno indelebile di loro sui muri a “perpetua memoria”. Non sono psicologo, ma qui concordo
con Levi: si tratta di persone immature e insicure, che mancano della capacità di riconoscere i limiti che nascono dal rispetto vero della libertà, il rispetto degli altri, e che sentono come primaria la necessità di “farsi vedere”.
Purtroppo penso che una grande parte della gente oggi si trovi in questa situazione; l’insicurezza è il live motif che ci pervade.
Pochi sono i writer sui muri, anche se sono i più visibili, molti di più sono quelli che cercano una fuga dalla loro realtà facendo i writer su internet, ma ancora di più sono gli insicuri ed immaturi che non hanno il coraggio di diventare writer e si limitano a nascondere la loro insicurezza seguendo ciecamente la moda con la rincorsa alle cose “firmate”, magari taroccate, per risparmiare, ma questo potrà essere argomento di una prossima riflessione.
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